Il clima “giustizialista” che a Torino sarebbe stato creato e poi alimentato dalle iniziative assunte dalla cittadinanza «in ambito politico, eccelsiastico, sindacale e culturale» è in realtà, ricorda la Cassazione, solo il frutto di libere espressioni del pensiero «per sensibilizzare i competenti organi nazionali e locali e per stimolare la coscienza critica dell’opinione pubblica su una vicenda di rilievo nazionale». Non può parlarsi allora di forme di condizionamento oggettive e rilevanti dell’esercizio sereno e imparziale della funzione giudiziaria, di forza tale da imporre lo spostamento del processo dalla sua sede naturale.
In caso contrario a venire compromesso sarebbe, tra l’altro, un quadro di riferimento costituzionale che vede nella libertà di espressione un valore fondamentale e sarebbe alterato «il fisiologico rapporto dialettico, insito in ogni democrazia evoluta, tra collettività, istituzioni, e funzione giudiziaria in un contesto socio-culturale sempre più connotato da esigenze di conoscenza e dall’accresciuta consapevolezza dei diritti del cittadino sia come singolo che nelle formazioni sociali dove si sviluppa la sua personalità».
Del resto, aveva precisato la Cassazione, l’articolo 45 del Codice di procedura penale, come modificato tra le polemiche dalla legge n. 248 del 2002 (Legge Cirami), attribuisce rilievo alle situazioni locali sotto un triplice profilo: pregiudizio per la libera determinazione delle persone che partecipano al processo; pregiudizio per la sicurezza e l’incolumità pubblica; motivi di legittimo sospetto.
Quest’ultimo è costituito dalla considerazione della gravità oggettiva di una situazione locale in grado di mettere in pericolo la neutralità del giudice rispetto all’esito del processo. Sospetto che però deve essere caratterizzato da legittimità, tale da ancorarlo a dati oggettivi e concreti.
La nozione di «legittimo sospetto», nella lettura della Cassazione, è allora più ampia di quella di «libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo» che, invece, consiste nel condizionamento che queste persone subiscono come soggetti passivi una vera e propria costrizione fisica o psichica che incide sulla loro libertà morale, imponendo una determinata scelta, quella della parzialità e della non serenità, precludendone altre di segno contrario».