05.12.2013

Legge elettorale, la scure della Consulta “Il Porcellum è incostituzionale”

  • Il Sole 24 Ore

Comunque vada, anche se il palazzo della politica continua a non mettersi d’accordo su una nuova legge, i giudici costituzionali sono certi che quello che resta del Porcellum permette comunque agli italiani di andare al voto. Non c’è l’ipotizzato ritorno al Mattarellum, per la semplice ragione che, pur azzoppato, il Porcellum continua legislativamente a vivere. Non c’è neppure il “vuoto” legislativo che, su questa materia, non è consentito e che molti paventavano. Un brutto fantasma agitato forse per imbavagliare la Corte. Sulla quale, in pochi giorni, s’è riversata la forte pressione della politica a fare un passo indietro. Che non c’è stato, pur dopo un’iniziale esitazione.
Camera di consiglio storica alla Consulta — che si apre alle 9 e trenta, si ferma alle 13, riprende alle 16 e si chiude pochi minuti dopo le 18 — perché non è di tutti i giorni essere alle prese con la legge che ha portato in Parlamento 945 tra deputati e senatori. La riunione che prosegue dopo la prima ora dice subito che l’ipotesi del rinvio chiesto da un alto giudice è stata superata, che si è entrati nel merito. Proprio così, ci si misura subito sull’ammissibilità del questione di costituzionalità posta dalla Cassazione — relatore Antonio Lamorgese, giudice della prima sezione civile — sui cui tavoli è giunto il ricorso dell’avvocato Aldo Bozzi e di altri 25 cittadini elettori contro il Porcellum, i quali si erano già rivolti al tribunale di Milano. Non dura a lungo la discussione, i giudici della Consulta votano tutti insieme per la piena ammissibilità dei due quesiti. Tanti giuristi erano contrari, loro non hanno dubbi.
E si entra nel merito. Il Porcellum
può contare su due “nemici”, il presidente della Consulta Gaetano Silvestri, che già
aveva materializzato i suoi dubbi di costituzionalità nel 2008 in occasione del referendum, e a settembre, nel giorno della sua elezione. Poi il relatore, Giuseppe Tesauro, ex presidente dell’Antitrust. I due quesiti sono lì, sul tavolo dei giudici pronti a essere vivisezionati. Si discute del premio di maggioranza senza tetto, e tutti decidono di bocciarlo. Si affronta la questione delle preferenze, e qui finisce con una votazione di stretta misura, otto contro sette, perché obiettivamente c’è chi considera il passo sulle preferenze molto spinto.
Si discute a lungo sul comunicato. Semplice e lineare sui due quesiti, «illegittimità costituzionale » per il premio di maggioranza, «sia per la Camera che per il Senato». Idem per le norme sulle liste elettorali bloccate,
«nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza». Almeno una preferenza, dunque, dovrà essere indicata. Ovviamente la Corte si pone il problema di “quando” la sua decisione diventerà operativa, per questo scrive che dalla pubblicazione della sentenza «dipende la decorrenza dei relativi effetti giuridici». La Corte compie anche un altro passo, conscia com’è della portata della decisione. Specifica che «il Parlamento può sempre approvare
nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali ».
In quei 300 storici minuti gli alti giudici — come trapela poi da “Radio corte” — stanno bene attenti a compiere una delicata operazione chirurgica che risponde strettamente ai quesiti posti dalla Cassazione. La Corte non si “allarga”, non fa politica, sta a quei due quesiti, come prova lo stesso comunicato. Del pari, non sceglie un nuovo sistema elettorale, né
potrebbe farlo perché così compirebbe una grave ingerenza nella vita del legislatore. Non riporta in vita il Mattarellum, con quella “reviviscenza” di cui pure tanto si era favoleggiato. Alla Corte si può cogliere questa certezza, «anche dopo i tagli la legge che resta consente di andare a votare, resta il proporzionale, così come per le liste è possibile votare per un candidato». Ma una sensazione è diffusa comunque, la certezza che il passo compiuto, l’incostituzionalità dichiarata, è «una clava», come la chiama qualcuno alla Corte, che costringe il Parlamento a fare una legge decente per far votare gli italiani senza privarli dei loro diritti. Sono le 18, i giudici hanno chiuso la partita del Porcellum.