La decisione è giunta dopo che la Commissione aveva messo l’accento su una riduzione insufficiente del deficit strutturale italiano nel 2015. Il governo Renzi ha presentato a metà ottobre una Finanziaria che prevedeva un taglio del disavanzo di appena lo 0,1% del prodotto interno lordo, rispetto a un impegno europeo di almeno lo 0,5%. Per due settimane, vi sono stati accesi negoziati tra Roma e Bruxelles per trovare una soluzione che evitasse la bocciatura d’emblée della Finanziaria italiana.
Le nuove regole europee consentono alla Commissione europea di bocciare un testo entro due settimane dalla sua ricezione se in aperta violazione con il Trattato (mai finora questa possibilità è stata utilizzata). Nei fatti, Bruxelles ha imposto all’Italia di rivedere il testo, promettendo nuove misure per 4,5 miliardi di euro tali da portare l’aggiustamento strutturale dell’anno prossimo a circa lo 0,3% del Pil (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). La vicenda può essere letta in vario modo.
C’è chi metterà l’accento sul fatto che l’Italia è riuscita ad evitare l’aggiustamento richiesto dalle regole europee e dalla Commissione. E chi farà notare come l’esecutivo comunitario abbia imposto al governo italiano di rimettere mano alla sua Finanziaria. L’accordo è un compromesso tra la Commissione che vuole difendere la sua credibilità di guardiana dei Trattati e il premier Matteo Renzi, che ha fatto della revisione delle regole europee un suo cavallo di battaglia politico in Italia.
Dal canto suo, pur di evitare il peggio, anche Parigi ha promesso di modificare il proprio bilancio previsionale, adottando nuovi tagli al deficit per circa 3,5 miliardi di euro. Secondo funzionari comunitari altri tre paesi avevano presentato a metà ottobre una Finanziaria a rischio bocciatura: oltre all’Italia e alla Francia, anche l’Austria, la Slovenia e Malta. Nel suo comunicato, Katainen ha parlato di “risposta costruttiva” da parte dei paesi alle “preoccupazioni” dell’esecutivo comunitario.
La paura delle conseguenze economiche e politiche di un periodo di deflazione sta inducendo l’Europa a riconsiderare l’urgenza di un risanamento delle finanze pubbliche; ma fino a che punto? È probabile che in novembre la Commissione valuterà nel dettaglio il bilancio previsionale italiano, di cui non piacciono alcuni aspetti poco realistici: molti economisti citano in particolare tagli alla spesa pubblica per 15 miliardi ed introiti dalla lotta all’evasione fiscale per 3,8 miliardi.
Nell’aver trovato una intesa su un aggiustamento limitato al deficit strutturale, l’Italia non evita l’apertura di una procedura per squilibrio macroeconomico eccessivo – anzi, forse la rende più probabile. Nel mettere il paese sotto analisi in primavera, Bruxelles aveva sottolineato i rischi di un debito elevato e di una bassa competitività. Nella sua lettera della settimana scorsa al governo italiano, lo stesso Katainen aveva messo l’accento sul pericolo di un rallentamento del ritmo di riduzione del debito.
È interessante notare che nel suo comunicato di ieri sera, il commissario agli affari economici spiega che «eventuali futuri passi secondo le regole del Patto di Stabilità e di Crescita saranno decisi più in là, sulla base delle previsioni economiche di autunno della Commissione e delle opinioni sui bilanci previsionali». La scelta se e quando aprire una procedura per squilibrio macroeconomico eccessivo sarà presa dalla Commissione Juncker, che entrerà in funzione il 1° novembre.