L’80% dei pensionati del fondo elettrici, per esempio, ha una pensione del 20-40% più generosa di quello che sarebbe stata con il calcolo contributivo. Addirittura il 96% delle pensioni del fondo ferrovieri subirebbe una riduzione se ricalcolata con il metodo contributivo e per più di una su quattro la riduzione sarebbe superiore al 30%.
Il tema del ricalcolo contributivo dei trattamenti pensionistici derivati dal retributivo non è nuovo. Ma ha ripreso vigore dopo la sentenza della Corte costituzionale e, soprattutto, dopo l’annuncio da parte del Governo di voler riaprire il capitolo previdenza per dare maggiore flessibilità alle attuali regole di ritiro. Parte delle coperture necessarie potrebbe essere recuperata proprio con questa operazione, da effettuare applicando le norme relative all’esercizio del “diritto di opzione”, inizialmente previsto dall’articolo 1, comma 3 della legge 335/95 (legge Dini). Si tratterebbe di un esercizio complesso, che richiede una ricostruzione in parte puntuale e in parte forfetaria della carriera retributiva e dei contributi versati, come indicato nella circolare Inps n. 181 dell’11 ottobre 2001.
L’operazione naturalmente non dovrebbe riguardare solo i fondi speciali ma l’intero stock delle pensioni vigenti. Secondo i calcoli effettuati da Stefano e Fabrizio Patriarca in uno studio sulla spesa pensionistica in fase di pubblicazione e che il Sole 24 Ore è in grado di anticipare, guardando agli 11,3 milioni di pensioni di vecchiaia e anzianità vigenti nel 2012 (escluse le pensioni delle casse privatizzate, le invalidità e i superstiti) si scopre che lo squilibrio medio tra calcolo contributivo e valori attuali supera il 24,6%, un differenziale che sale al 29% per la fascia di importo medio tra i 1.250 e i 2.000 euro lordi. In valori assoluti, su una spesa per pensioni pari a 186,9 miliardi di euro, nel 2012 lo squilibrio contributivo ha comportato una spesa di 46 miliardi, circa tre punti di Pil, ovvero più della metà della spesa per interessi sul debito pubblico.
Le statistiche estratte dalle banche dati Inps dai due studiosi offrono anche un’idea del flusso dei pensionamenti, non solo dello stock citato. Nel 2011, l’anno del varo del decreto “Salva Italia” , sono state liquidate 47.205 pensioni di anzianità di lavoratori autonomi (età di pensionamento medio 59 anni).
Osserviamo questo flusso perché, a causa delle basse aliquote contributive che hanno caratterizzato il passato anche recente di questa categoria, lo squilibrio contributivo/retributivo è davvero ampio. Nell’anno della riforma Fornero sono stati staccati assegni di anzianità Inps per questi nuovi pensionati del 57,3% più pesanti del loro valore a calcolo base contributivo: su una nuova spesa per pensioni di 780 milioni (come si vede nelle tabelle che pubblichiamo), lo squilibrio s’è tradotto in 448 milioni in termini di importi aggiuntivi. Oltre mezzo miliardo in più (554 milioni) sono state pagate le 70.325 nuove pensioni di anzianità di dipendenti pubblici erogate sempre nel 2011, mentre le 97.613 nuove pensioni di anzianità pagate nello stesso anno ai dipendenti del settore privato sono costate 635 milioni in più rispetto ai valori basati sul calcolo contributivo.
Altri due studiosi (Carlo Mazzaferro e Marcello Morciano) in un lavoro di qualche anno fa hanno calcolato che l’adozione immediata della regola di calcolo contributivo pro-rata su tutti i lavoratori dal 1995 avrebbe assicurato risparmi per quasi due punti di Pil (ai prezzi del 2008) nei primi 13 anni di applicazione della riforma Dini. Tenendo conto che gli squilibri contributivi sono a carico della fiscalità generale, forse è anche da questi numeri che deve ripartire una riflessione sull’equità attuariale e intergenerazionale del nostro sistema pensionistico.