05.08.2019

Law firm in campo contro il Codice delle crisi d’impresa

  • Il Sole 24 Ore

Una falange compatta e agguerrita di avvocati dice no al nuovo Codice sulle crisi di impresa varato dal Governo legastellato nei primi mesi del 2019. Un primo importante risultato la riforma lo ha centrato. Quello di spingere ben 22 studi legali nazionali e internazionali a far fronte comune, archiviando per un momento la sana concorrenza professionale di cui vivono, per mettere a punto un vero e proprio manifesto critico sulla riforma del fallimento. Un documento in otto punti (elencati a fianco) da condividere con l’esecutivo e il legislatore per confrontarsi apertamente sulle possibili modifiche da apportare al testo che entrerà in vigore solo tra un anno.

L’obiettivo del tavolo di lavoro creato da questi 22 studi è soprattutto quello di non penalizzare l’afflusso di capitali, nazionali e stranieri, in un settore molto complesso come quello delle procedure di ristrutturazione aziendale e allo stesso tempo favorire la crescita e lo sviluppo del mercato dei «non performing assets». «Non abbiamo un intento politico – premette Paolo Manganelli, socio responsabile del restructuring di Ashurst – ma vogliamo porre al servizio del legislatore la nostra esperienza concreta, frutto dei tanti salvataggi e ristrutturazioni seguiti in questi ultimi 15 anni».

Lo spazio per intervenire, prima dell’entrata in vigore a pieno regime del Codice ad agosto 2020, c’è ed è anche ampio. La stessa legge delega n. 20 del marzo scorso consente al Governo di varare i decreti correttivi anche fino ad agosto 2022. Senza considerare poi che il 26 giugno scorso è approdata sulla Gazzetta Ufficiale della Ue la direttiva n. 1023 che fissa una serie di regole comunitarie in particolare sull’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione. Il nuovo Codice dovrà essere allineato alla norme europee entro il 2021. Anche per questo gli spunti avanzati dalle 22 law firm si muovono tutti nel pieno rispetto delle nuove regole comunitarie. Ma cosa chiedono i professionisti del diritto fallimentare? «L’obiettivo – precisa Manganelli – è ridurre al minimo gli elementi di incertezza che rischiano di scoraggiare gli investitori eventualmente disponibili a iniettare capitali in aziende in crisi». Le criticità riguardano questioni procedurali anche molto tecniche, ma dalle quali può dipendere il destino di molte aziende e di tanti posti di lavoro.

Al primo punto c’è la revisione del concordato preventivo che – si legge nel documento – «la riforma confina in un ruolo marginale a tutto favore delle procedure di liquidazione giudiziale». Per i legali l’accesso è ora reso difficile sia dalle dichiarazioni (sulle operazioni straordinarie, o sulle possibili richieste di risarcimento danni), sia dalle conseguenze che potrebbero ricadere su chi è disposto a investire capitali per risollevare le aziende in crisi. A giudizio del pool di avvocati, la riforma non chiarisce quando può scattare il conflitto di interessi dell’investitore che, a sua volta, lo fa decadere dal diritto di voto sul piano di ristrutturazione: in altre parole è troppo alto il rischio che il finanziatore non possa poi dire la sua sul piano. O che il suo diritto di voto non sia proporzionale al peso dell’investimento.

Più incerta anche la possibilità di recuperare il capitale iniettato in caso di fallimento: oggi queste risorse hanno un canale privilegiato (cosiddetti finanziamenti prededucibili), domani il giudice potrebbe revocare questo beneficio anche con il semplice sospetto che l’investitore in qualche modo fosse stato a conoscenza di informazioni rilevanti occultate da parte del debitore. Ma la legge non definisce il concetto di «rilevanza».

A scoraggiare i salvataggi potrebbe essere pure la mancanza di tribunali specializzati anche per le medie imprese, perché si tratta di situazioni complesse che necessitano di una forte specializzazione e competenza tecnica. Tutti fattori di incertezza che potrebbero avere anche un risvolto finanziario: «È?indubbio – conclude l’avvocato – che nel mercato dei capitali quando aumentano i rischi aumenta anche il pricing del finanziamento. E se i rischi sono veramente elevati si potrebbe arrivare a costi davvero proibitivi che di fatto scoraggerebbero qualsiasi operazione di salvataggio». Con l’effetto – paradossale rispetto agli obiettivi della riforma – di spostare il baricentro dalle procedure di salvataggio alle liquidazioni giudiziali (i “fallimenti” veri e propri).