Una citazione a giudizio avanti il Tribunale Civile di Milano che, spiegava Sorin in un comunicato , era stata promossa «da Snia Spa in amministrazione straordinaria ed è intesa ad accertare un’asserita pretesa corresponsabilità di Sorin spa con Snia spa per eventuali debiti connessi e/o conseguenti a oneri di bonifica ambientale derivanti dalle attività chimiche gestite da Snia spa, e da alcune società del gruppo Snia antecedentemente alla scissione intervenuta in data 2 gennaio 2004».
Una questione spinosa. considerato che i tre vecchi siti industriali inquinati lasciati in eredità – quello di Brescia, quello di Torviscosa (Udine) e quello di Colleferro, in Lazio – dopo un tortuoso giro di successioni societarie e giuridiche erano finiti in capo al ministero all’Ambiente per una doverosa bonifica. Un’operazione, questa, dai costi ingentissimi, visto che lo stesso ministero li aveva quantificati in 3,42 miliardi di euro, per i quali chiede dal 2012 copertura a chi ritiene responsabile del misfatto ambientale.
Da qui origina l’asserita posizione di creditore nei confronti di Sorin – in quanto successore nei rapporti giuridici della vecchia Snia – e il tentativo, in quanto creditore appunto , di bloccare la fusione odierna in forza dell’articolo 2503 del codice civile: il rischio cioè di veder evaporare le garanzie sui 3,42 miliardi per la bonifica ambientale.
Se queste sono le premesse per il tentativo di stop alla fusione dei due gruppi biomedicali, non meno decisa è la presa di posizione pubblica di chi si ritiene inspiegabilmente danneggiato dall’iniziativa del governo italiano.
Dopo aver preso atto dei documenti presentati quattro giorni fa dall’Avvocatura dello Stato, Sorin e Cyberonics dichiarano che in quegli atti depositati al tribunale civile del capoluogo lombardo sono state fondamentalmente equivocate e fraintese sia la struttura sia gli scopi dell’operazione di fusione, e che l’iniziativa dell’amministrazione italiana è del tutto priva di motivazioni sostanziali, preannuncio di una vigorosa opposizione in sede processuale. Sede processuale in cui il tribunale diventa arbitro e, a norma del codice civile (articolo 2445), può comunque dar luogo alla fusione ignorando l’opposizione di chi lamenta un possibile danno per sè «quando ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori, oppure quando la società abbia prestato idonea garanzia».