L’intelligenza artificiale (IA) rappresenta una delle sfide più affascinanti e complesse del nostro tempo, con un impatto che si estende ben oltre la tecnologia e l’economia, toccando profondamente anche la concezione di lavoro, di diritti e giustizia sociale. Il suo sviluppo accelera rapidamente e, con esso, le opportunità di crescita produttiva sembrano moltiplicarsi, ma ciò non è senza risvolti critici. La crescente automazione, alimentata dall’IA, sta trasformando i modelli produttivi e organizzativi tradizionali, modificando il panorama lavorativo e alimentando il dibattito su come distribuire i frutti di questa nuova rivoluzione tecnologica. Di recente è uscito un libro, intitolato «Il lavoro non sarà mai più come prima. Gli impatti dell’intelligenza artificiale e della automazione tecnologica sul lavoro come lo conosciamo oggi», scritto a quattro mani da Francesco Rotondi, name partner di LabLaw e consigliere esperto del Cnel, e da Armando Tursi. ordinario di diritto del lavoro alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano, che esplora, in modo approfondito, come l’IA stia modificando le dinamiche del lavoro, ma anche come queste trasformazioni possano essere governate attraverso politiche pubbliche e una regolazione adeguata.
Per il presidente del Cnel Renato Brunetta «serve una buona regolazione, per fare in modo che la distribuzione dei guadagni di produttività sia equa, socialmente sostenibile, inclusiva. Si dice con una certa supponenza che gli Stati Uniti innovano, la Cina copia e l’Europa regola. Certo l’Europa regola talvolta male, ma nel caso specifico sarei più cauto, perché abbiamo bisogno di regolazione, settore per settore. Una buona regolazione è alla base della coesione sociale e permette di evitare il conflitto. I contratti fanno proprio questo, regolano la distribuzione dei guadagni di produttività, e così garantiscono la crescita. I contratti sono indicatori del metabolismo dei singoli mercati, sono la cartina di tornasole della loro funzionalità. È quindi essenziale investire sulla contrattazione». In questo scenario in rapido cambiamento si trovano a operare anche gli studi legali, che da tempo hanno avviato un ampio dibattito sul tema.
«È reale il rischio di una progressiva perdita della centralità del lavoro umano nell’ambito del nostro modello di sviluppo, con conseguenze sociali e politiche tutte da esplorare», dice Fabio Angelini, founder di Angelini e Associati: «una crescente competizione tra uomo e macchine, dando luogo a nuove disuguaglianze chi sarà in grado di governare l’IA e di appropriarsi dei sui benefici sul piano della produttività e coloro che invece ne subiranno la concorrenza spietata, si tradurrebbe in una nuova conflittualità sociale non diversa da quella alimentata dalla contrapposizione tra capitale e lavoro. Serve una nuova sintesi capace di attualizzare la lezione del secolo scorso alla luce delle implicazioni dell’innovazione tecnologica su quelle dinamiche politiche, economiche e sociali su cui si regge il nostro capitalismo democratico. Occorre un framework giuridico condiviso in grado di preservare gli aspetti fondamentali su cui si regge il capitalismo democratico, come la tutela dei diritti fondamentali, la separazione dei poteri e, come ci insegnano i due Nobel per l’economia Daron Acemoglu e James A. Robinson, la preservazione di un assetto istituzionale inclusivo. Solo l’Ue, proseguendo il cammino già avviato con il Gdpr, il Digital Service Act e il Digital Market Act, ha sin qui avuto l’ambizione di disciplinare lo sviluppo dell’IA secondo un approccio rights-driven che affonda le sue radici nel nostro assetto costituzionale, aprendo a nuove modalità e nuovi strumenti di regolazione dell’economia. Come esperti del settore, il nostro compito è perciò quello di aiutare i Board delle imprese impegnate nella transizione digitale a metabolizzare questo nuovo approccio rights-driven destinato a cambiare le nostre dinamiche economiche e istituzionali, affinché questo paradigma possa diventare parte integrante delle loro strategie Esg e di risk management. Per vincere la sfida globale, come auspicato da Draghi, l’Ue deve infatti dimostrare che innovazione e regolazione non sono in antitesi ma che possono convivere virtuosamente nella prospettiva di un’economia sociale di mercato».
«Il 2 ottobre scorso il Cnel ha illustrato alcune buone pratiche per assicurare un utilizzo efficace dell’intelligenza artificiale in azienda e, al contempo, favorire una distribuzione equa, socialmente sostenibile e inclusiva dei guadagni di produttività. Si teme che l’evoluzione tecnologica e, in particolare, lo sviluppo dell’IA possano risultare divisivi», dice Paola Finetto, partner di Andersen in Italy. «Desta preoccupazione l’IA generativa, con la sua capacità di creare contenuti simili a quelli prodotti dall’intelligenza umana; si guarda con sospetto IA sistemi IA-based sempre più diffusi nel contesto della ricerca e selezione del personale, oltre che per il monitoraggio delle performance individuali. All’interesse crescente per l’applicazione in azienda di queste nuove tecnologie e per il conseguente efficientamento dei processi, si contrappone il timore che l’IA possa sostituire l’uomo. L’obiettivo primario, pertanto, dev’essere quello di rafforzare la coesione tra il mondo del lavoro e quello dell’imprenditoria, nonché valorizzare le risorse umane nella prospettiva di favorire una crescita economica e sociale, della quale tutti possano sentirsi protagonisti. Affinché i guadagni di produttività ottenuti in azienda grazie all’uso dell’IA possano tradursi in guadagni durevoli ed estesi, non limitati a poche imprese o settori specifici, è necessario che l’IA e le sue applicazioni vengano diffuse, conosciute, comprese, apprezzate. Occorre investire in alfabetizzazione tecnologica, a fronte di un contesto lavorativo in cambiamento. L’IA costituirà un’autentica un’opportunità se potrà produrre pienamente i suoi effetti in un ecosistema, che favorisca la concorrenza, assicuri una ripartizione equa dei vantaggi derivanti dall’applicazione di tecnologie avanzate, stabilisca presidi normativi ed etici e valorizzi le competenze nel mercato del lavoro».
L’IA ha già mostrato buone capacità di migliorare la produttività in diversi settori, con un aumento del 14% nella produttività complessiva e un miglioramento del 35% per i lavoratori meno esperti. «Attualmente, però, uno dei rischi principali è che tali benefici rimangano concentrati nelle mani di poche aziende, come è successo con l’industria IT, dove solo le società più grandi hanno ottenuto i maggiori profitti», spiega Silvano Donato Lorusso, partner di BLB Studio Legale. «In questo senso, è fondamentale una strategia a livello europeo che favorisca la concorrenza, promuova gli investimenti e rafforzi le competenze nel settore dell’IA, affinché l’aumento di produttività si traduca in benefici diffusi. Il mercato del lavoro sta affrontando un periodo di forti cambiamenti: il rapporto tra lavoratore e azienda è diventato sempre più dinamico; si registra una maggiore mobilità tra un’occupazione e un’altra e questo anche grazie a una nuova mentalità dei lavoratori, in particolare dei più giovani, che, in particolare dal post-pandemia cercano maggiore flessibilità nell’ambito lavorativo (prova ne sia la consistente richiesta di smart working). In tale contesto, sebbene possa comportare una riduzione dei posti di lavoro nelle mansioni ripetitive, l’IA si presenta come una grande opportunità che potrebbe essere colta da tutti. Occorre una discussione costruttiva almeno a livello europeo su temi essenziali come la formazione all’utilizzo dell’IA, affinché siano preparati a nuovi ruoli e compiti, così da aumentare il loro valore sul mercato del lavoro; la eventuale previsione di un bonus di produttività, con i quali le aziende possano condividere con i lavoratori parte degli incrementi di profitto derivati dall’uso dell’IA; il tema della riduzione dell’orario di lavoro, oggi tanto richiesto, che potrà concretizzarsi grazie alla maggiore efficienza dell’IA e, infine, il tema della partecipazione agli utili, che potrebbe essere prevista (anche) grazie IA benefici generati dall’IA. Ciò motiverebbe ancor di più i lavoratori, riducendo il turnover e creando un ambiente di lavoro certamente più favorevole. La questione, nel suo complesso, richiede non tanto una consistente produzione normativa, quanto una forte volontà politica e aziendale e un buon dialogo tra datori di lavoro, dipendenti e istituzioni».
L’incremento della produttività non sarà scontato, ma frutto di un utilizzo efficiente degli strumenti di intelligenza artificiale. «Ciò comporterà un atto di coraggio da parte delle aziende nel modificare l’organizzazione, anche attraverso la trasformazione di mansioni e l’avvio di piani di riqualificazione (cosiddetti up-reskilling) per i propri dipendenti, per adattarla all’introduzione e all’utilizzo di tali nuovi strumenti», dice Luca De Menech, partner di Dentons. «La maggiore efficienza lavorativa che ne conseguirà, sulla scia dei principi di sostenibilità, equità e ESG che stanno connotando l’intero sistema produttivo, potrà e dovrà rappresentare un beneficio non solo per le imprese ma anche per i lavoratori, coinvolti anch’essi in un cambiamento che si prospetta epocale. In questi termini, ritengo che tali benefici possano consistere non tanto in vantaggi di natura economica (già in realtà presenti nel sistema, come bonus, premi di produttività, etc.), bensì più verosimilmente in maggiore flessibilità e welfare sul lavoro. Efficientare la struttura attraverso il ricorso agli strumenti di intelligenza artificiale potrà consentire alle aziende di conseguire risultati analoghi, se non superiori, in un tempo di lavoro ridotto rispetto a quello attuale. I lavoratori, quindi, potranno lavorare in maniera più efficiente, guadagnando più tempo libero per se stessi e per le proprie famiglie in un’ottica di welfare e benessere collettivo. Ne è un esempio l’Islanda, che ha visto salire il Pil del 5% nel 2023 – meglio quindi dell’insieme delle economie avanzate dell’Unione europea – nonostante il 51% dei propri lavoratori abbia aderito da tempo a un piano che prevede la settimana di 4 giorni lavorativi. Flessibilità e welfare sul lavoro che, come i premi economici, ben potranno essere strutturati in maniera proporzionale IA risultati e agli indici di incremento e marginalità della produttività stessa. In tale contesto, la contrattazione collettiva può rivelarsi uno strumento essenziale per una proficua regolazione dei citati aspetti, coinvolgendo entrambe le parti collettive nella determinazione delle regole e consentendo di definire discipline specifiche per ciascun settore, tenuto conto delle relative caratteristiche ed esigenze. Sotto questo profilo, sarà opportuno consentire alla contrattazione collettiva di avere una delega di legge sufficiente nel gestire tali aspetti, evitando impianti normativi a livello europeo o nazionale eccessivamente rigidi che potrebbero bloccare le opportunità di sviluppo, impedendo alle imprese di accogliere le innovazioni».
Per Aldo Bottini, partner di Toffoletto De Luca Tamajo «il tema della produttività e delle sue ricadute sulla retribuzione dei dipendenti non può che essere affrontato a livello aziendale, dove effettivamente la ricchezza viene prodotta. È infatti ovvio che i guadagni di produttività, prima di essere redistribuiti, vanno realizzati. E le situazioni non sono tutte uguali. Sotto questo profilo, diventa centrale la contrattazione collettiva di secondo livello, quella più vicina alla realtà da regolare. Non servono nuove leggi, né accordi collettivi a livello nazionale. Già oggi la normativa sui premi di risultato a tassazione agevolata (legati a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione) offre interessanti opportunità, come testimonia il numero sempre crescente di contratti collettivi aziendali che vengono depositati presso il Ministero del lavoro per usufruire delle agevolazioni. Quindi gli strumenti per redistribuire i guadagni di produttività, derivanti dall’impiego dell’intelligenza artificiale o anche solo da una diversa e più efficiente organizzazione, ci sono, basta utilizzarli correttamente. In particolare, tenendo bene a mente quanto sia decisivo il requisito dell’incrementalità, cioè del continuo miglioramento, finalizzato alla crescita. In alcuni casi, poi, si va oltre l’aspetto puramente economico. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale può comportare significativi risparmi di tempo. Si possono fare le stesse cose (o anche di più) in meno tempo. E allora si fa strada l’idea che si può redistribuire non solo il guadagno, ma anche il tempo risparmiato, riducendo l’orario di lavoro. Venendo così incontro alle esigenze e alle aspettative delle nuove generazioni, per le quali la flessibilità del tempo conta ancor più della retribuzione. In alcune esperienze, la cd. settimana corta di quattro giorni lavorativi, di cui tanto si discute in Italia e fuori, è resa possibile proprio dall’utilizzo di nuove tecnologie, prima tra tutte l’intelligenza artificiale, che accelerano i processi e incrementano la capacità produttiva». Fra le molteplici dimensioni toccate dall’intelligenza artificiale, quella del lavoro genera questioni particolarmente complesse: da un lato il rischio di distruzione di posti di lavoro, dall’altro la crescita della produttività. «A questo proposito, secondo un recente studio di IDC, l’IA farà crescere l’economia globale di 4,9 mila miliardi di dollari nel 2030 e già 1,2 mila miliardi nel 2024, mentre secondo una ricerca di TEHA Group (The European House Ambrosetti) in collaborazione con Microsoft, in Italia, la sola IA «generativa» (ad esempio Chat GPT) potrà generare un incremento fino a 312 miliardi di euro del valore aggiunto annuo dell’economia italiana nei prossimi 15 anni: una crescita complessiva del 18,2% del pil», spiegano Stefano Leanza e Vincenzo Colarocco dello Studio Previti, rispettivamente socio e responsabile dipartimento Diritto della proprietà intellettuale, Diritto di internet e concorrenza sleale e responsabile dipartimento Compliance, media e tecnologia. «Se altri osservatori hanno avanzato stime più prudenti, resta indubbio che l’aumento di produttività sarà la principale esternalità positiva dell’utilizzo dell’IA nel lavoro. Un margine che di per sé rappresenta una risorsa da sfruttare, e che impone diverse scelte di natura politica, come di recente rilevato anche dal Presidente del Cnel, Renato Brunetta. In tal senso, è utile ricordare come l’IA Act, regolamento dell’Unione Europea, citi a più riprese quale proprio obiettivo la diffusione di una «intelligenza artificiale antropocentrica». La soluzione più immediata, rispetto a questi guadagni di produttività, riguarda la possibilità di riduzione dell’orario di lavoro, e dunque l’esperimento di soluzioni quali la settimana lavorativa corta, già, promossa in diversi Paesi nonché da alcune grandi società italiane, con risultati incoraggianti. Innovazioni sorte non certo per via di obblighi normativi, ma che rischiano di riguardare in futuro una stretta minoranza di persone. Non solo: è evidente che i guadagni di produttività legati all’IA non riguarderanno tutti i lavoratori. Lo strumento compensativo per eccellenza resta dunque quello fiscale, che possa comportare forme di «redistribuzione» dei vantaggi di competitività anche sulle fasce di lavoratori che non possono godere direttamente di tali vantaggi. Una soluzione fiscale approfondita a lungo da Marietje Schaake del Cyber Policy Centre di Stanford, ma che si presenta di difficile attuazione. Il modello di riferimento resta la Global Minimum Tax, a conferma della dimensione globale di una delle più grandi questioni del nostro tempo: il governo della tecnologia, e dunque del «big tech» in una dimensione pienamente antropocentrica».
Per Mario Di Carlo, partner Ristuccia Tufarelli & Partners «l’ottimizzazione dei processi e il guadagno di produttività sono fra i risultati più probabili e più attesi nel breve periodo dall’introduzione dell’IA. Il suo impatto però ha buone probabilità di essere disruptive rispetto all’attuale distribuzione del valore e in grado di spostarne una parte rilevante verso i grandi produttori di IA. A seconda del settore e del tipo di sistemi di IA impiegati questo spostamento potrà impattare sul lavoro creativo e sulla produzione di contenuti, e con la GenIA, anche sul lavoro fisico, con – ad esempio – sistemi di computer vision e robotica avanzata. Ma perfino su altre professioni inclusa quella legale. È difficile immaginare una regolamentazione che vada ad incidere direttamente sulla distribuzione del valore. È prevedibile invece un periodo di crisi e tensione legato alle modalità di redistribuzione del valore, dove i grandi player faranno sicuramente pesare la loro dimensione e gli attori tradizionali del mercato potranno utilizzare gli strumenti già a loro disposizione. Lo vediamo per esempio nel settore del copyright dove sono in corso a livello globale numerosi contenziosi sulla violazione dei diritti di proprietà intellettuale degli autori e degli editori e dove ci sono forti resistenze ad accordare la tutela del diritto d’autore agli elaborati dell’IA (o con l’IA). Si tratta di un conflitto che ha sicuramente natura distributiva, che può trovare una soluzione in strumenti contrattuali (pensiamo a cosa è accaduto dopo Napster che diede l’avvio a un’ampia discussione sui diritti e sulla distribuzione della musica portando anche alla nascita di piattaforme di musica in streaming) in un processo in cui gli Stati possono incidere guidando la negoziazione fra le parti tramite regolamentazione, appunto, del copyright e – con dinamiche in parte diverse – dei brevetti. È fondamentale però guardare anche alla creazione di valore e alla creazione di mercati, spazio nel quale gli Stati dovrebbero supportare le dinamiche di ricerca e di investimento e, soprattutto, quelle di formazione e sperimentazione. Il Regolamento europeo sull’IA cerca di andare in questa direzione sia con gli obblighi di formazione del personale dell’art. 4 sia con le sandbox degli artt. 57 e ss. da cui dovrebbero scaturire nuove professionalità e nuovi spazi di creazione del valore. Anche nel rapporto fra avvocati e clienti il tema sarà rilevante e sarà importate trovare meccanismi di condivisione dei guadagni di produttività, che consentano agli studi legali di investire e di vedersi remunerato con forme diverse dalle semplici fee orarie sia il valore dell’investimento sia quella parte di contributo professionale che resterà non replicabile dall’IA».