Un altro contributo significativo all’economia italiana arriva dagli imprenditori stranieri. Gli imprenditori nati all’estero attivi in Italia alla fine del 2014 sono oltre 632 mila, pari all’8,3% del totale. «Nel periodo della crisi (2009-2014) in tutte le regioni c’è stato un aumento, che coincide con il calo degli imprenditori italiani. A livello nazionale, gli imprenditori stranieri sono aumentati del 21,3%, mentre gli italiani sono diminuiti del 6,9%».
Secondo i ricercatori della Fondazione Leone Moressa «i dati dimostrano il ruolo dei lavoratori stranieri nel sistema produttivo nazionale. Nell’ultimo anno gli occupati stranieri sono 2,3 milioni, in aumento del 5% rispetto all’anno precedente, e producono circa l’8% del Pil. Gli occupati stranieri rappresentano circa il 10% dei lavoratori in Italia: nonostante l’emergenza sbarchi, la componente straniera è fondamentale per l’economia italiana e rappresenta un’opportunità di rilancio per l’intero sistema economico».
E in Europa ci sarà ancora posto, anche in uno scenario di medio periodo? «Apparentemente potrebbe esserci – spiega Giancarlo Blangiardo, docente di Demografia all’Università Bicocca di Milano ed esperto della Fondazione Ismu -. Da qui al 2030, cioè tra 15 anni, secondo le previsioni Eurostat ci sarebbe infatti, in assenza di migrazioni, un calo della popolazione in età lavorativa nell’ordine di quasi 20 milioni di unità. Un calo che potrebbe tuttavia dimezzarsi se si tiene conto dei flussi migratori previsti da Eurostat secondo le tendenze del recente passato».
Altre stime della Commissione Ue mostrano che tra il 2013 e il 2025 vi sarà una sostanziale stabilità (solo 3 milioni di crescita), ma soprattutto mettono in rilievo un riassestamento qualitativo che privilegia i livelli professisonali alti (+21 milioni) a scapito di quelli medi (-5 milioni) e soprattutto bassi (-13 milioni): «Si accredita uno scenario che lascia poco spazio a un’immigrazione scarsamente qualificata come è, verosimilmente, quella potenzialmente spinta a emigrare da un’Africa sub-sahariana – prosegue Blangiardo -. Anche l’Italia verrebbe caratterizzata, pur a totale di forza lavoro invariato, da uno spostamento verso qualifiche più alte (+3 milioni compensato da un identico calo per la qualifiche più basse), ma forse da noi ci saranno ancora possibilità di espansione almeno nel lavoro domestico, dove l’invecchiamento della popolazione farà da spinta propulsiva.»