La strada scelta è un accordo di ristrutturazione (concordato con riserva, che dev’essere approvato dal Tribunale fallimentare), in modo da evitare il concordato preventivo, più lungo nei tempi e più penalizzante per i creditori. Il concetto di fondo è mantenere l’unitarietà del gruppo: i contenitori, ovvero gli immobili , non sono considerati strategici; il contenuto, cioè il patrimonio di conoscenza e professionalità di chi ci lavora, sì. Anche se il costo del lavoro è una voce da tagliare.
Probabilmente «con un intervento più tempestivo si poteva evitare questa situazione» sostiene Brugger. Lo stato d’insolvenza è iniziale e l’azienda in sé ha una gestione in attivo se non fosse per gli oneri del debito. La malattia, dunque, è curabile. Il piano firmato dall’advisor Paolo Lisca, partner di Brugger nello studio «Ristrustrutturazione e sviluppo», delinea nel dettaglio le due strade per uscire dalla crisi: fondo immobiliare e società operativa. Il patrimonio immobiliare, cioè le sedi di 20 delle 21 strutture sanitarie, sarà conferito in un fondo insieme alla quasi totalità del debito bancario. In cifre: 245 milioni (sulla base di recenti perizie degli immobili) più debiti per circa 110 liberando così un valore netto degli asset di 135 milioni. A quel punto la Fondazione alienerà parzialmente quote del fondo per pagare subito i fornitori più in arretrato, alcuni dei quali avevano già avviato azioni di recupero. Al termine dell’operazione la Fondazione dovrebbe mantenere circa 85 milioni in quote del fondo. La Maugeri avrà in affitto a lungo termine gli immobili, ma liberandosi degli oneri finanziari e di gestione delle strutture.
Secondo Brugger agli immobili Maugeri potrebbero essere interessati fondi pensione e compagnie di assicurazione: «Ci sono già contatti in corso» assicura Brugger. Verrà costituita una società ad hoc per l’attività sanitaria quasi priva di indebitamento finanziario, dunque di oneri, e in grado di mantenere e ampliare il perimetro dell’attività. «Nel capitale potrebbero entrare nuovi partner — sottolinea Brugger —. Ma non è tecnicamente necessario. C’è, comunque, interesse». Essenziale è l’intesa con i creditori entro marzo, salvo proroga di due mesi.
In sostanza ai fornitori e alle banche (la più esposta è Ubi con 65 milioni) si chiede di prorogare le scadenze. Ai fornitori viene proposto un piano di rientro in 2-3 anni. Per le banche invece, a seconda delle posizioni, il piano prevede riscadenziamento dei mutui, consolidamento e un ruolo attivo nel collocamento parziale di quote del fondo immobiliare. Tre le condizioni perché il piano passi: 1) la firma dei titolari di almeno il 60% dei crediti calcolati al 31 ottobre; 2) l’attestazione da parte di un esperto indipendente sulla fattibilità del piano; 3) la neutralità dell’accordo che non deve danneggiare chi non ha aderito.