La partita giocata sul filo del rasoio — e che vede la sconfitta di Buenos Aires anche se Kicillof ha dichiarato di essere ancora «pronto a dialogare» — ha visto la seconda economia sudamericana opposta a un gruppo di hedge fund guidati da Nml Capital, controllata di Elliott Management di Paul Singer. Negli anni passati questi hedge fund hanno comprato per pochi soldi i bond di quanti, circa il 7% dei detentori, non hanno aderito alla ristrutturazione dopo il default da 100 miliardi nel 2001, e sono restati perciò fuori dallo scambio con nuovi titoli scontati nel 2005 e nel 2010. Da qui l’appellativo di «fondi avvoltoi». Nml e gli altri fondi hanno poi fatto causa all’Argentina per ottenere il rimborso integrale del valore facciale di quei bond, circa 1,33 miliardi di dollari, che sale a 1,5 miliardi con gli interessi. Il giudice Thomas Griesa della Corte distrettuale di Manhattan ha dato ragione agli hedge fund, e vietato a Buenos Aires di pagare gli interessi dovuti il 30 giugno sui bond ristrutturati, se non avesse contemporaneamente rimborsato integralmente i fondi avvoltoi. E così scattato il «periodo di grazia» di 30 giorni, entro cui pagare le cedole prima del default ufficiale.
Contro le pretese dei fondi il governo argentino si è battuto strenuamente: prima ha respinto la sentenza, confermata però anche dalla Corte Suprema Usa, poi ha chiesto tempo supplementare (negato) per trovare un accordo. Buenos Aires ha già depositato presso la Bank of New York Mellon i 539 milioni di dollari di interessi in scadenza, nella speranza di un’intesa in extremis. La soluzione a cui i legali delle parti hanno lavorato freneticamente nelle ultime ore prevedeva l’intervento di un consorzio di banche argentine, pronte a comprare l’intera quota dei bond in mano agli hedge fund ribelli, ai quali verrebbe però chiesto uno sconto. In cambio all’Argentina sarebbe stato garantito dalla Corte il via libera al pagamento delle cedole.
Ma quali sarebbero le conseguenze di un default? Gli hedge fund resterebbero a mani vuote, ma più serie sarebbero le conseguenze per l’Argentina. Rispetto al 2001, il Paese guidato da Cristina Kirchner è in una situazione meno drammatica, ma il nuovo default aggraverebbe la recessione in corso, farebbe salire ulteriormente l’inflazione, oggi intorno al 22%, e metterebbe sotto pressione le riserve in valuta estera, già molto basse, indebolendo il peso argentino. Un nuovo default, inoltre, allontanerebbe ancora di più un possibile ritorno sul mercato del governo di Buenos Aires, che dal 2001 non riesce a collocare bond a investitori stranieri, mentre per le società e le istituzioni argentine il costo per finanziarsi penalizzerebbe i progetti di investimento e crescita. E’ invece meno chiaro che cosa accadrebbe ai risparmiatori reduci dal default del 2001 che oggi hanno in mano i bond ristrutturati, per un controvalore di circa 30 miliardi. Secondo gli analisti, però, è difficile che la maggioranza dei detentori chieda un’accelerazione delle scadenze e un rimborso anticipato.