10.07.2015

L’amministratore paga il fallimento

  • Italia Oggi
Rimane legittimo, a seguito di fallimento, nel caso in cui la società non abbia tenuto le scritture contabili e quindi omesso il deposito dei bilanci, calcolare il danno imputabile all’amministratore nella mera differenza fra attivo e passivo.

È quanto ha ritenuto la Corte d’appello di Catania (App. Catania 30 giugno 2015 in «Il caso.it») con sentenza depositata il 30 giugno scorso.

Il caso. Il tribunale di primo grado rileva nel comportamento dell’amministratore della srl una serie di fatti idonei a consentire al curatore le violazioni addebitate all’amministratore, del danno lamentato e del nesso causale fra le une e le altre. Tali elementi probativi sono stati ravveduti: 1) nella assoluta mancanza di scritture contabili della società fallita e della totale inattendibilità della documentazione tardivamente depositata dalla società nelle mani del curatore; 2) nella circostanza che i debiti erano sorti in epoca ben anteriore alla messa in liquidazione della società senza che l’amministratore adito avesse posto in essere i comportamenti doverosi a seguito del verificarsi della perdita del capitale sociale; 3) dalla totale mancanza di elementi per determinare le disponibilità liquide alla data del fallimento; 4) dal fatto che sussistano ipotesi di ammanco di alcuni beni.

La decisione. Nella motivazione della sentenza della Corte d’appello siciliana, si richiamano tutta una serie di sentenze risalenti (n. 2671/77, n. 6493/85) e più recenti (n. 5876/2011; n. 7606/2011) in cui si affermava che nel caso di mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, che rendano impossibile al curatore fornire prova del nesso di causalità, si verificherebbe un’inversione dell’onere della prova con applicazione del criterio differenziale. Vengono poi evidenziate altre pronunce (n. 10488/98, n. 2538/2005; n. 3032/2005) che invece hanno escluso la possibilità di commisurare il danno alla differenza fra attivo e passivo nel presupposto che lo stesso debba essere determinato in relazione alle conseguenze dirette ed immediate delle violazioni contestate. Viene ricordato che tali distonie interpretative hanno indotto le Sezioni Unite a una recentissima pronuncia (n. 9100 del 6/maggio/2015) nella quale vengono richieste al curatore prove rigorose degli inadempimenti degli amministratori, atteso che laddove all’inadempimento specificatamente allegato non sia neppure teoricamente concepibile ricollegare la produzione di effetti dannosi pari alla differenza fra attivo e passivo, tale criterio risulti fatalmente privo di ogni base logica. Ciononostante, secondo le Ss.uu. «se la mancanza delle scritture contabili renda difficile per il curatore una quantificazione e una precisa prova del danno che sia di volta in volta riconducibile a un ben determinato inadempimento imputabile all’amministratore, lo stesso curatore potrà invocare a proprio vantaggio la norma di cui all’art. 1226 c.c. e chiedere la liquidazione in via equitativa del danno al giudice, che a sua volta potrà tener conto dello sbilancio patrimoniale ». È proprio tale ultimo passaggio della sentenza delle Sezioni unite che, secondo la Corte d’appello di Catania, legittima la richiesta di risarcimento del danno nella misura correlata alla differenza fra attivo e passivo fallimentare, posta in essere dal tribunale di prime cure, sentenza che, quindi, risulta immune da vizi logico-giuridici.