13.06.2016

La spending review formato famiglia: più bollette, meno abiti

  • Il Sole 24 Ore

Attorno al capezzale della famiglia siedono molti luminari. Dalla Banca d’Italia all’Istat, dal Censis a svariati centri studi. E pur utilizzando ciascuno uno strumento d’analisi diverso, tutti sono concordi nella diagnosi: in Italia la famiglia, oggi, rispetto agli anni pre-crisi, è ancora debilitata. Qualche esempio? Nel 2015, secondo l’Istat, la pressione fiscale generale è calata di 0,3 punti percentuali passando dal 43,6% al 43,3%, mentre il carico fiscale sulle famiglie (imposte correnti su reddito disponibile lordo) è aumentato di 0,3 punti percentuali. Tra il 2011 e il 2014 (la fonte è uno studio della Fondazione nazionale dei dottori commercialisti su dati Istat e Banca d’Italia), il numero di nuclei familiari in condizioni di povertà assoluta è aumentato del 36 per cento. A fronte della stragrande maggioranza dei ragazzi italiani – rivela l’ultimo Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo – che sogna di costruirsi una famiglia e di mettere al mondo due o più figli, il tasso di natalità nel nostro Paese è drammaticamente ben più basso: solo 1,37, un numero da inverno demografico. Insomma, le famiglie italiane stanno vivendo una situazione di particolare disagio, perché è proprio sulle famiglie italiane che si è scaricata gran parte del peso di questa lunga e profonda crisi economica internazionale.
Ma la medaglia ha anche un suo rovescio, che è meno brutto da guardare. Nonostante sia stato colpito ripetutamente da molti virus, l’organismo della famiglia italiana ha cercato di tenere botta, sviluppando anticorpi e attingendo a ogni stilla di energia a disposizione, dai risparmi al welfare di prossimità.
Una cartina di tornasole che aiuta a capire come e quanto la famiglia ha dovuto fronteggiare l’assalto della recessione, arriva dal fronte dei consumi. Secondo l’ultima Relazione annuale di Bankitalia, la ripresa dei consumi, iniziata a metà del 2014, è proseguita lo scorso anno e per la prima volta dal 2008 è tornato a crescere il potere d’acquisto, grazie alle migliorate condizioni del mercato del lavoro e alle misure fiscali varate dal Governo nel 2014 e poi rese permanenti. Sia la spesa delle famiglie sia il potere d’acquisto restano però ancora al di sotto dei livelli pre-crisi.
Negli anni della crisi, infatti, le famiglie italiane sono state costrette a ridurre, in media, del 6% l’ammontare della spesa mensile, come mostra l’elaborazione realizzata dal Centro studi Sintesi (si veda il grafico). Nel 2007 (prima che dilagasse la lunga recessione sfociata in deflazione) spendevano 2.649 euro, mentre nel 2014 hanno perso per strada 160 euro, fermandosi a quota 2.489. Il taglio colpisce un po’ tutte le tipologie di famiglia (persone sole, coppia senza figli, coppia con un figlio, coppia con due figli, coppia con tre o più figli, nuclei monogenitoriali): l’unica eccezione in controtendenza è costituita dalla coppia di over 65, che nello stesso arco di tempo ha visto crescere la propria spesa media da 2.310 a 2.490 euro.
All’interno del paniere, come osservano i ricercatori del Centro studi Sintesi, le rinunce non sono omogenee. In estrema sintesi: aumentano (+4%, da 876 a 913 euro) le spese mensili legate alla voce «Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili», cioè tariffe e bollette, e la voce «Istruzione» (+25%, da 11 a 14 euro). Tutti gli altri aggregati di spesa, chi più chi meno, mostrano il segno “meno”, alcuni per cause anche positive (nelle comunicazioni si sente l’effetto della concorrenza tra operatori), altri invece per mere esigenze di bilancio familiare da far quadrare: è il caso, soprattutto, di abbigliamento e calzature (in calo del 28%, da 160 a 114 euro), tipici esempi di spese rinviate dai nuclei familiari in presenza di quote di reddito destinate ad altre priorità. Mantengono, invece, una loro stabilità sia le spese per prodotti alimentari (scesi da 453 a 436 euro) sia quelle per bevande alcoliche e tabacchi (da 45 a 43 euro).
Ma sui consumi la crisi ha fatto sentire altri effetti indiretti. Secondo un’elaborazione di Tecnè e Fondazione Di Vittorio («I consumi delle famiglie italiane. Rapporto 2015»), «il 57% delle famiglie ha dovuto ridurre la quantità e/o la qualità della spesa alimentare. Se si considerano i consumi non alimentari la quota sale al 72%». E la spending review è andata a penalizzare soprattutto il made in Italy: «La necessità di modificare gli standard dei consumi – si legge sempre nel rapporto – ha colpito soprattutto le produzioni di qualità, in particolare quelle italiane. Fatta 100 la spesa delle famiglie nel 2008 per l’acquisto di formaggi, nel 2015 il calo è stato di 11 punti, per il vino -12, per l’olio d’oliva -23, per l’abbigliamento -32 e per le calzature -16 punti percentuali».

Marco Biscella