Il modello francese si arrende all’avanzata americana. L’ “eccezione” transalpina non regge davanti al potere del dollaro. A sorpresa, la società Alstom accetta l’offerta di 12 miliardi di dollari lanciata dalla General Electric americana, che così metterà le mani sull’importante business energetico del gruppo parigino. La svolta è arrivata dopo un incontro tra la finanza e la politica: un vertice all’Eliseo tra il chief executive della General Electric, Jeff Immelt, e il presidente François Hollande. E’ stato questo summit a spianare la strada all’accordo, superando quel veto politico che fino a poche ore prima sembrava quasi insormontabile. La General Electric si era fatta avanti già la settimana scorsa con la sua proposta, ma l’establishment francese era rimasto sotto shock di fronte alla prospettiva di veder finire sotto controllo Usa un “gioiello” della propria tecnologia.Alstom fu a lungo un esempio di quelli che venivano chiamati i “campioni nazionali”, gruppi industriali di proprietà pubblica ai quali venivano affidati compiti di politica industriale al servizio del sistema-paese; e che a loro volta godevano di una protezione politica che poteva facilmente trasformarsi in protezionismo. Dunque di fronte alla scalata americana, nei giorni scorsi Parigi aveva disperatamente cercato alternative. Si era fatto avanti il gruppo tedesco Siemens. L’alleanza franco-tedesca per lo meno avrebbe avuto il vantaggio di “mantenere Alstom in Europa”. E tuttavia sotto controllo della Germania, una prospettiva non necessariamente più favorevole. Alla fine però l’ha spuntata Immelt. Probabilmente anche con un aiuto politico da Barack Obama. Il numero uno della General Electric è vicino al presidente americano, per il quale ha presieduto un gruppo di grandi imprenditori nella veste di consiglieri informali della Casa Bianca. Il dossier della General Electric è parso anche più solido, più approfondito, perché il management americano ci lavora da tre mesi; mentre l’offerta della Siemens è stata più estemporanea. Va anche ricordato che la General Electric non è proprio un corpo estraneo catapultato nel tessuto economico francese. La multinazionale americana ha già 10.000 dipendenti in Francia, dunque una presenza più estesa della Siemens che ne ha 7.000. Inoltre Immelt ha avuto l’abilità di assumere come chief executive della sua filiale francese Clara Gaymard che ha un passato di esperienza anche al servizio del governo di Parigi. Sta di fatto che diventa americana un’azienda che a lungo fu un vero simbolo della potenza industriale e tecnologica della Francia. Alstom ha 93.000 dipendenti, di cui 18.000 in Francia. E’ un colosso delle centrali elettriche ed è anche presente nella distribuzione. Il 33% del suo fatturato viene realizzato in Europa occidentale. Ma la sua redditività è in netto calo ed è molto inferiore rispetto a quella del colosso americano: Il margine di utile di Alstom all’8% è la metà di quello di General Electric. Resta ancora da superare un ostacolo prima di dare per conclusa l’acquisizione: General Electric dovrà convincere le autorità antitrust europee. La mossa di Immelt si inserisce in una febbre delle acquisizioni da parte delle multinazionali Usa nel resto del mondo, che ha un retroscena interessante. Una delle ragioni per cui i big del capitalismo americano stanno investendo così tanto, è fiscale. Gruppi come General Electric hanno accumulato enormi riserve di profitti all’estero, rimpatriandole sarebbero costrette a pagarvi un prelievo fiscale consistente, mentre l’acquisizione di un’azienda straniera “parcheggia” all’estero il tesoro, al riparo dal fisco.
30.04.2014
La sfida dell’energia Alstom sceglie GE Parigi cede agli Usa
- La Repubblica