Gli Enti coinvolti
Tra queste, come detto, ben 42 hanno oltre un terzo del patrimonio “immobilizzato” in istituti di credito, e sono questi gli Enti coinvolti dal protocollo Mef-Acri. A sua volta, di questi 42 Enti, 16 sono azionisti di istituti quotati mentre 26 lo sono di banche non quotate. Al momento non è disponibile un elenco ufficiale delle fondazioni coinvolte ma stando ad alcune ricostruzioni, delle 16 farebbero parte la Fondazione Cariverona, la Compagnia San Paolo, la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, quella di Padova e Rovigo, Carimonte, la Fondazione Mps e pure la Fondazione Carige. E poi dovrebbero esserci anche quella di Cuneo, di Alba, di Lucca, di Carpi e di Modena. Oltre, potenzialmente, alla Cassa di Risparmio delle province Lombarde. In sostanza le banche coinvolte sono Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps, Carige e Bper.
Dalla legge Ciampi ad oggi
È in questi istituti, quindi, che gli enti dovranno ridurre il peso. Ciò a esito di un processo avviato di fatto nel 2000, quando è entrata in vigore la legge Ciampi, e accelerato negli anni della crisi, una volta compresi i pericoli di una concentrazione eccessiva. Da allora il legame tra fondazioni e istituti di credito, seppure ancor oggi forte, ha iniziato ad affievolirsi. Lo dimostra il fatto che se nel 2001 i dividendi percepiti dalle banche rappresentavano il 57% dei proventi oggi le cedole contribuiscono per il 22,7%. Detto ciò, il credito continua a rappresentare un asset chiave nel patrimonio degli enti e, tolta la fase critica del biennio 2011-2013, il bilancio è tutto sommato positivo. Le cose infatti sono cambiate nel corso degli ultimi due anni. Il valore delle partecipazioni bancarie è progressivamente lievitato sul totale lordo del complesso delle attività finanziarie, anche in assenza di movimentazioni. Basti pensare che la quota di partecipazione della Compagnia San Paolo nel capitale di Intesa Sanpaolo, pur rimanendo stabile al 9,5% del capitale ordinario della banca, è balzata dal 38% del 2012 al 48% del 2013.
Attivi per 50 miliardi
A livello di sistema, se nel 2000 il patrimonio netto contabile delle Fondazioni era di 35,4 miliardi di euro, nel 2013, stando agli ultimi dati disponibili, era di 40,8 miliardi, comprensivi di quei circa 6,3 miliardi di “perdite” legate in buona parte proprio alla riduzione di valore degli istituti di credito quotati. Non a caso, il diciannovesimo rapporto sulle fondazioni recita infatti che la diminuzione del patrimonio avvenuta in quella fase ha interessato «solo 17 fondazioni» e «per 10 di queste la causa è nell’adeguamento al minor valore di mercato delle partecipazioni».
Comprensibile considerato che se si guarda alla capitalizzazione del comparto bancario sulla borsa di Milano questa è passata dagli 85,9 miliardi del 2000 agli 84,4 miliardi del 2013. In precedenza, ossia «dal 2000 al 2010 il patrimonio (delle fondazioni, ndr) è cresciuto mediamente del 3,5% annuo mentre l’inflazione è aumentata del 2,1% annuo». Guardando l’attivo delle Fondazioni al 31 dicembre 2013 questo ammontava a 49,3 miliardi e registrava una diminuzione di 1,7 miliardi. Di questi, «le attività finanziarie nel loro complesso segnano una contrazione di 1,6 miliardi da attribuirsi alla partecipazione nella conferitaria». A dimostrazione del fatto che gli anni della crisi del credito si sono comunque sentiti sul bilancio degli enti.