R appresentano una parte fondamentale del tessuto economico italiano e negli ultimi anni le piccole e medie imprese hanno saputo farsi sempre più protagoniste anche sul terreno della transizione green. Un white paper realizzato dalla Sda Bocconi School of Management, intitolato “Fostering Sustainability in Small and Medium- Sized Enterprises”, evidenzia l’ottima performance delle Pmi italiane nel confronto europeo. La ricerca, che ha coinvolto i proprietari e i manager di oltre 1.200 piccole e medie imprese di nove Paesi europei (Italia, Austria, Francia, Repubblica Ceca, Germania, Portogallo, Spagna, Croazia e Ungheria), sottolinea come oltre la metà delle aziende (52%, a fronte di una media europea del 43%) dichiara di avere già implementato un piano di sostenibilità o di essere in procinto di adottarne uno, un dato che registra il maggiore aumento su base annua (15%) nel confronto europeo. Seguono la Germania (8%) e l’Ungheria (4%). Mentre tutti gli altri Paesi coinvolti hanno visto una diminuzione del numero di Pmi che hanno implementato piani di sostenibilità. Anche considerando le aziende che non hanno ancora adottato alcun piano l’Italia si distingue per l’ottima performance, con una diminuzione di 23 punti percentuali (a fronte di una media europea del 6%) rispetto alla precedente rilevazione. L’integrazione delle tematiche ambientali e sociali nelle strategie aziendali delle Pmi tricolore risulta inoltre sopra la media europea, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, la qualità dei prodotti e dei servizi e i rapporti con clienti, dipendenti e fornitori. In base all’indagine, sono tre i fattori principali che hanno favorito l’adozione di un approccio Esg tra le piccole e medie imprese italiane: il senso di responsabilità ambientale e sociale dei proprietari, l’alto costo dell’energia, che ha spinto ad adottare interventi nel campo dell’efficienza energetica, e gli obblighi normativi. A quest’ultimo proposito, un’ulteriore spinta è attesa dalla “Corporate Sustainability Reporting Directive – Csrd”, entrata in vigore lo scorso gennaio, che punta ad ampliare gradualmente(a partire dal 2024) la platea di imprese che dovrà rendicontare l’impatto ambientale, sociale ed economico utilizzando criteri uniformi a livello europeo (pur restando escluse dall’obbligo le piccole, medie imprese non quotate e non appartenenti a gruppi). Si tratta dunque di una rivincita delle Pmi sulle grandi imprese che storicamente si sono mostrate mediamente più attive in ambito sostenibile. Come evidenzia anche un report dell’Istat che approfondisce le iniziative green più diffuse tra le Pmi tricolore. Queste ultime appaiono orientate soprattutto alla tutela ambientale e spaziano dall’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili a progetti di efficientamento energetico, fino all’accelerazione sull’economia circolare.
Quando si parla di sostenibilità, si evidenzia nel report della Sda Bocconi, non è però tutto rose e fiori: tra i principali ostacoli rilevati ci sono la mancanza di un quadro legislativo chiaro e di incentivi pubblici, oltre a un’eccessiva burocrazia. Motivo per cui le Pmi italiane chiedono di poter contare su un quadro legislativo chiaro e semplificato esu incentivi fiscali per promuovere prodotti e servizi sostenibili. Esigenze condivise anche dalle altre Pmi europee: il 73% del campione vorrebbe degli incentivi fiscali per promuovere prodotti e servizi sostenibili e il 67% ritiene necessari fondi sovvenzionati dall’Unione Europea per finanziare la transizione verde. A questo si aggiunge il tema legato alle competenze, con il 63% del campione intervistato che vorrebbe maggiori opportunità di formazione. L’indagine analizza anche gli effetti del NextGenerationEu, il piano da oltre 800 miliardi di euro che punta a creare un’Europa post pandemia più verde, digitale e resiliente, sugli obiettivi di sostenibilità delle Pmi. Il risultato è però poco incoraggiante: in solo meno di un caso su tre i fondi hanno influito positivamente.
Dall’indagine emerge come investire in sostenibilità paga: le aziende con i piani ambientali e sociali più sviluppati si sono dimostrate più resilienti agli shock esterni, come l’inflazione, l’aumento dei prezzi dell’energia o la guerra in Ucraina. Inoltre, hanno beneficiato di un migliore impatto ambientale e di una maggiore soddisfazione dei dipendenti e dei clienti, oltre ad aver raggiunto maggiore efficienza e una migliore gestione del rischio aziendale. Si tratta di una strada ormai necessaria da percorrere, anche perché le aziende sempre più di frequente vengono valutate in base alla capacità di adottare un approccio sostenibile in tutti gli ambiti del loro agire. Uno studio recente realizzato a livello globale dalla società di consulenza Bain & Company rivela ad esempio che le preoccupazioni ambientali dei consumatori sono in aumento a causa delle condizioni meteorologiche sempre più estreme. Questi ultimi si mostrano disposti a cambiare comportamento di acquisto e a pagare di più per prodotti green. Occorre dunque stare al passo e dare il proprio contributo per la salvaguardia dell’ambiente e per una società più equa. Il che significa mettere in atto un nuovo modo di fare business, ovvero che senza rinunciare a far crescere i fondamentali di bilancio, si mostra attento alle esigenze del pianeta, dei dipendenti e delle comunità.