15.04.2013

La nuova legge Pinto alla Corte costituzionale

  • Il Sole 24 Ore

Doppio rinvio alla Consulta per la nuova legge Pinto. Le Corti d’appello di Bari e di Reggio Calabria hanno infatti sollevato, con due ordinanze, dubbi di legittimità costituzionale su due novità introdotte dal decreto sviluppo (83/2012) nella legge 89/2001, che riconosce un indennizzo ai cittadini coinvolti in processi troppo lunghi.
In particolare, il giudice di Bari (consigliere Gaeta), con l’ordinanza del 18 marzo scorso, ha chiesto alla Corte costituzionale di esaminare la legittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge 89/2001, che impedisce di proporre la domanda di equa riparazione prima della decisione che conclude il procedimento che ha sforato i termini di ragionevole durata.
La vicenda riguarda una dipendente di una società fallita, ammessa al passivo per le sue retribuzioni, che aveva ricevuto solo parte del suo credito in seguito a riparti parziali. In base alla nuova Pinto, rileva la Corte di Bari, finché il decreto di chiusura del fallimento non diventa definitivo, la lavoratrice non può chiedere l’indennizzo. Ma questa conclusione contrasta sia con l’articolo 111, sia con l’articolo 3 della Costituzione, perché chi non riesce a vedere concluso il suo procedimento sopporta un danno più grave rispetto a chi ottiene la pronuncia dal momento che, secondo la nuova Pinto, non ha tutele.
Inoltre, di fronte a una situazione di stallo del giudizio presupposto, viene violato l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che prevede il diritto delle parti all’esame della causa «entro un termine ragionevole», perché la nuova legge Pinto priva il cittadino della garanzia di ricorsi interni idonei a offrire una riparazione adeguata e sufficiente.
L’altra questione è stata sollevata l’8 aprile dalla Corte d’appello di Reggio Calabria (consigliere Iannello) sul nuovo articolo 2-bis, comma 3, della Pinto, per il quale, in caso di irragionevole durata di un processo, la misura dell’indennizzo non può superare il valore della causa o, se inferiore, «quello del diritto accertato dal giudice». L’ordinanza riguarda la domanda di indennizzo di un cittadino soccombente sia nel primo sia nel secondo grado di un giudizio. Applicando l’articolo 2-bis, comma 3, della Pinto – secondo il giudice – è necessario respingere la domanda perché, in pratica, accertare che il diritto è inesistente equivale ad affermare che esso «vale zero». Questa conclusione è però in contrasto con le pronunce della Corte di Strasburgo e della Cassazione, che hanno ritenuto irrilevante la soccombenza per il riconoscimento del l’equo indennizzo, affermando che, indipendentemente dal l’esito della causa, il cittadino subisce comunque una diminuzione della qualità della vita in attesa della decisione definitiva della sua posizione processuale. Anche in questo caso, secondo il giudice, la nuova Pinto contrasterebbe con l’articolo 6, paragrafo 1, della Cedu.
La Corte esamina anche il nuovo articolo 35, comma 3, lettera b), della Cedu, in vigore dal 1° giugno 2010, che consente al giudice di Strasburgo di dichiarare irricevibile il ricorso individuale proposto da chi non ha subito alcun pregiudizio rilevante. Ma il giudice non ritiene che questa norma possa coprire la regola nazionale che esclude ogni indennizzo per chi ha perso la causa nel giudizio presupposto. La nuova condizione di ricevibilità, infatti, non ha ancora contorni chiari e nelle prime decisioni è applicata per contenziosi di minimo valore o per giudizi penali in cui la sofferenza per la durata è compensata dalla prescrizione del reato a beneficio dell’imputato: parametri diversi dall’esito della causa e dal valore del diritto accertato.