«No. Perché non sono una persona che parla a vanvera né ho fatto una dichiarazione per farmi trattenere. Ho fatto chiarezza sulla mia volontà perché si avviino le discussione sulle nomine».
Che giudizio dà di questi otto mesi?
«Non mi aspettavo di trovare quello che poi ho trovato. La situazione della Fondazione era seria ma le difficoltà si sono moltiplicate, come l’aumento di capitale da 3 miliardi (ora è di 5, ndr ) annunciato subito dopo la mia nomina. Ci siamo trovati a gestire un’evoluzione di cose non predeterminate quando sono stata chiamata».
Si è sentita in trappola?
«In trappola no, e nemmeno emarginata o ghettizzata ma in isolamento sì. Isolamento dal punto di vista mediatico, del sentire comune, come se l’unica strada da seguire fosse vendere a dicembre, ma quei tempi non erano compatibili con la nostra situazione. Ho avuto paura di non farcela quando il titolo è diventato bersaglio di una serie di operazioni al ribasso».
Ha pensato a un complotto?
«No, ognuno ha giocato pro domo sua: gli interessi nostri, della banca, degli investitori erano molto diversi. Sono lontana dalle teorie del complotto».
Così a dicembre ha forzato la mano imponendo lo slittamento dell’aumento di capitale, che infatti partirà tra poche settimane. E se i mercati non fossero risaliti consentendole di vendere al prezzo che voleva? C’era un piano «B»?
«Quando sei in emergenza non hai un piano d’emergenza. In quella fase abbiamo capito che dovevamo passare dalla cruna di un ago, non c’era alternativa. Ed era la scelta giusta. La fortuna ce la siamo andati a prendere, se avessi venduto a novembre…»
Lei a un certo punto ha detto che la attaccavano perché donna. È stato davvero così?
«Nessuno l’ha detto mai esplicitamente che “è donna e quindi non ce la fa”, ma è un contesto che vuole farti credere che non sei adeguata, che ti manda il messaggio che non hai lo “standing” sufficiente. I meriti sono stati sudati sul campo, grazie anche alle sole persone che ho avuto vicine: la deputazione amministratrice, i legali Angelo Benessia e Franco Groppi, Massimo Pappone di Lazard, il direttore generale della Fondazione Enrico Granata, la struttura interna di Attilio Di Cunto».
Non è un mistero lo scontro con il presidente di Mps Alessandro Profumo.
«Beh, ci siamo scontrati in assemblea, davanti a tutti… Diciamo che ci siamo incrociati professionalmente in una fase che non ci ha consentito di lavorare assieme, rappresentando istituzioni diverse».
Ma perché lasciare adesso?
«Perché per me si è concluso un ciclo. Gli obiettivi erano chiari, il mio lavoro e il mio servizio al territorio è finito. Capisco che sembri strano che non sono una “poltronara” ma è così. Potevo perdere tutto in termini di reputazione e credibilità. Ho attraversato un guado non semplice e non l’ho fatto certo per fare carriera. E credo di poter ora seguire le mie traiettorie».
Quali traiettorie?
«Continuo a essere vicepresidente di Confindustria e manager della mia azienda».
A Siena di parla di lei futura candidata alla presidenza di Confindustria.
«Per farlo, e bene, si impiegano quattro anni in cui si è assenti o comunque presenti in maniera molto relativa dalle proprie attività. Io non solo non posso ma non lo voglio fare in questa fase della mia vita. In questo momento credo di dover recuperare una dimensione personale. Il mio ruolo in azienda non è formale e quindi non posso sostenere questi ritmi. Anche la mente deve pensare, e non lavorare e basta».
I fondi esteri con cui avete stretto il patto di sindacato che con il 9% punta a controllare Mps, il messicano Fintech Advisory e il brasiliano Btg Pactual, li ha avvisati della sua decisione?
«Li ho avvisati, certo. C’è stata una certa sorpresa ma il cardine degli accordi non è il nostro buon feeling ma la Fondazione. E credo che le cose andranno avanti nel migliore dei modi».
È vero che già a dicembre si erano fatti avanti?
«Non avevano avuto contatti con noi ma con altri investitori e con la banca. Erano in dialogo con la cordata cosiddetta “delle fondazioni”. Sono stati sul dossier Mps per diverso tempo prima di avere un approccio diretto con noi. Avevano un interesse reale per la banca, per cui è stato facile trovare l’accordo».