La manovra d’estate muoverà risorse per 32 miliardi di euro. Il dato sul saldo netto da finanziare emerge dalla relazione governativa sul nuovo deficit che il Parlamento ha iniziato ieri a esaminare in vista del voto di domani. E come nelle due precedenti occasioni il dato sulla spesa effettiva iniziale è più alto rispetto al disavanzo aggiuntivo che il governo chiede al Parlamento, e che si ferma a 25 miliardi. La prima causa di questa forbice sono ancora una volta gli ammortizzatori sociali, protagonisti anche nel decreto d’agosto, che alimentano una spesa destinata parzialmente a tradursi poi in un’entrata, e quindi a ridurre il disavanzo, perché su cassa integrazione e Naspi si pagano tasse e contributi.
Il dato sul saldo netto da finanziare è però indicativo dello sforzo congiunturale imposto alla finanza pubblica dai provvedimenti che il governo ha dovuto mettere in campo per attutire i colpi della crisi sull’economia reale. I tecnici di Camera e Senato hanno messo in fila i numeri dei tre scostamenti decisi fin qui per fronteggiare gli effetti economici del Covid: 212 miliardi distribuiti fra marzo (25 miliardi), maggio (155) e, appunto, la manovra d’estate in arrivo (32). Ma, soprattutto, li hanno incrociati con i numeri dell’assestamento di bilancio, approvato dal consiglio dei ministri del 7 luglio. Nell’assestamento, spiega il dossier, il «deterioramento del quadro economico» costa 52,5 miliardi in termini di competenza e 51 sul terreno della cassa. Secondo i tecnici parlamentari questo porta a 392,3 miliardi il livello massimo del saldo netto da finanziare, che la legge di bilancio prima dell’emergenza sanitaria calcolava in 129 miliardi: i calcoli governativi si fermano poco sotto, a 384 miliardi.
Si tratta di numeri inevitabilmente inediti per la nostra finanza pubblica, come inedita per il Dopoguerra è la caduta del Pil prodotta dalla pandemia. L’impianto prospettato dal governo resta ancorato al -8% previsto ad aprile nel Def, perché le nuove stime ufficiali arriveranno solo a settembre con la Nota di aggiornamento.
Ma sul tema le incognite hanno dominato le audizioni di ieri (questa mattina sarà il turno del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri). L’Istat ha sottolineato i «molti dati positivi» su produzione industriale, fatturati e costruzioni nelle prime rilevazioni successive al lockdown, ma ha sottolineato «la forte incertezza» che rimane «su entità e tempi» della ripresa in un Paese che dall’inizio della pandemia ha perso mezzo milione di occupati nonostante la Cig universale e il divieto di licenziamenti, e nel quale il 38% delle imprese rischia seriamente di non arrivare in piedi alla fine dell’anno.
E se il Cnel, oltre a chiedere una riforma di ammortizzatori e Fisco, sollecita il ricorso al Mes per «superare l’emergenza», la Corte dei conti sottolinea che a luglio la media dei principali analisti riassunta nelle previsioni di consenso vede un crollo del Pil di 4 punti più ampio rispetto ad aprile, quando è stato costruito il Def, e un debito di 15 punti più alto. Va detto che il Def elaborato al Mef già all’epoca si era tenuto su una linea più prudente rispetto a molte previsioni, per cui le correzioni a cui sottoporre i numeri di primavera sarebbero più contenute. Ma per la Corte a settembre sarà inevitabile prevedere «un’ulteriore riduzione della crescita nominale probabilmente superiore a un punto percentuale».
Una prospettiva, quella indicata dalla Corte, in linea con l’analisi diffusa ieri da Fitch, che per il Pil italiano prevede un -9,5% quest’anno seguito da un +4,4% il prossimo. Dopo di che secondo l’agenzia di rating la dinamica si raffredderebbe presto sotto il 2%, anche perché la crescita potenziale resterebbe invariata.