Il nuovo trimestre sui mercati si è aperto, purtroppo per gli investitori, all'insegna della continuità con le settimane precedenti: giù le Borse, l'euro e le materie prime; in recupero dollaro, oro e titoli di Stato; di nuovo in tensione lo spread fra BTp e Bund. E a ben guardare gli eventi dell'ultimo fine settimana non è che esistessero particolari ragioni per giustificare un'inversione di tendenza.
Sul caso Grecia, per esempio, l'accordo preliminare raggiunto nel fine settimana fra il Governo di Atene e la cosiddetta Troika formata da Commissione Ue, Bce e Fondo monetario sul piano che prevede la mobilità per 30mila dipendenti pubblici e altre misure che potrebbero dare il via libera alla sesta tranche di aiuti (quella da 8 miliardi di euro) è passato in secondo piano. In Borsa, così come sugli altri mercati ci si è piuttosto concentrati sull'ammissione, da parte delle autorità greche stesse, dell'impossibilità di raggiungere gli obiettivi di bilancio concordati in precedenza. E anche sull'ormai abituale tira e molla fra i governi europei sull'opportunità di ampliare ulteriormente la portata del fondo salva-stati Efsf (in senso contrario, ieri, si sono espressi Finlandia e addirittura Spagna)
Logico quindi che gli investitori non abbiano trovato di meglio che vendere titoli bancari (in particolare il gruppo franco-belga Dexia, minacciato di declassamento da Moody's) e penalizzare in generale i listini del Vecchio Continente: Milano ha perso l'1,31%, Francoforte il 2,28%, Madrid il 2,37% e Parigi l'1,85 per cento. E dalle vendite non si è salvata neppure New York nonostante dati macroeconomici migliori delle attese (spese per costruzioni in agosto e indici dell'attività manifatturiera in settembre). S&P e Nasdaq si sono anzi avvitati in serata per chiudere rispettivamente a -2,85% e -3,29%.
L'avversione al rischio degli investitori ieri si è vista anche sul petrolio: a New York il Wti è sceso ai minimi da due mesi prima di attestarsi poco sotto il 78 dollari al barile, mentre a Londra il Brent è tornato vicino a quota 100 dollari, in pratica il 20% in meno rispetto ai massimi dallo scorso aprile (soglia che convenzionalmente gli analisti tecnici utilizzano per definire una fase di mercato ribassista).
Ma i contraccolpi maggiori li ha subiti ancora una volta l'euro, che anche ieri ha raggiunto nuovi minimi da oltre 8 mesi scivolando fino a 1,32 dollari. Oltre alle incertezze sulla Grecia e sulla situazione del debito pubblico nell'Eurozona (e alle croniche divisioni dei Governi sulla soluzione da adottare), sulla divisa comune pesa anche la prudenza degli operatori in vista della cruciale riunione della Bce di giovedì: un eventuale abbassamento dei tassi (ipotesi tutt'altro che scontata) potrebbe aprire, secondo alcuni analisti, anche spazi per un'ulteriore discesa dell'euro ai minimi dell'anno e sotto quota 1,30.
Il contraltare della fuga dalle attività rischiose è stato anche ieri il rifugio verso oro (tornato a salire poco sopra i 1.650 dollari l'oncia) e soprattutto verso i titoli di Stato. Il rendimento del decennale tedesco (1,81%) e sceso però più di quello del BTp pari scadenza (5,54%), riportando lo spread fino a 373 punti. Dalle sale operative hanno segnalato una nuova accelerazione della Bce negli acquisti dei titoli italiani e spagnoli dopo che la scorsa settimana (per la seconda volta consecutiva) l'ammontare si è mantenuto sotto i 4 miliardi di euro. Il movimento di maggior rilievo, parlando di bond sovrani, lo si è però avuto sul trentennale Usa, il cui rendimento è sceso al 2,77% (minimi dal gennaio 2009) per effetto dei riacquisti della Federal Reserve, che proprio ieri ha effettivamente avviato l'operazione «twist».