La delega a operare su un conto corrente intestato a un terzo legittima l’accertamento a carico dell’imprenditore individuale. Soprattutto se la sua attività è in perdita sistematica da anni, configurando una situazione che «non poteva essere sostenuta senza il ricorso a risorse finanziarie non dichiarate». Ad affermarlo è la sezione tributaria della Cassazione, con la sentenza n. 9845/18, depositata lo scorso 20 aprile. Il caso vedeva una contribuente, titolare di una ditta individuale, opporsi a una contestazione Irpef/Irap e Iva dell’Agenzia delle entrate. L’ufficio aveva accertato ricavi non dichiarati a seguito di alcune indagini bancarie, eseguite su un conto intestato a un soggetto terzo, ma ritenuto nella piena disponibilità dell’imprenditrice. Quest’ultima, infatti, era munita di una delega che le consentiva di «operare a piacimento» su detto rapporto. A corroborare le rettifiche del fisco c’era poi «l’antieconomicità della gestione», aggiungono gli ermellini, che lasciava presumere l’esistenza di risorse extra non dichiarate per garantire la sopravvivenza dell’impresa. «Ne consegue inevitabilmente», conclude la suprema corte, «che le operazioni riscontrate sul conto corrente intestato al (terzo) sono riferibili all’attività economica della ditta sottoposta a verifica, gravando su quest’ultima l’onere di fornire la prova contraria». Da qui il rigetto del gravame e la condanna della ricorrente a rifondere le spese di lite.
Valerio Stroppa