Trionfo o vittoria di Pirro?
Dopo tante umilianti sconfitte, Theresa May festeggia: come voleva lei, martedì il Parlamento britannico ha approvato la proposta di riaprire, due mesi dopo averlo concluso, il negoziato con l’Unione europea sulla delicata questione del “backstop”, ovvero su come tenere aperta la frontiera fra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda. “Il trionfo di Theresa”, spara il titolone di prima pagina del Daily Mail, con scarso senso dell’understatement. Frutto di due anni di trattative, il negoziato non è ritoccabile, risponde il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, ammonendo: «La decisione della Camera dei Comuni aumenta il rischio di un’uscita disordinata dalla Ue, ovvero di un no deal», un divorzio senza intese che sostituiscano 45 anni di trattati attraverso la Manica. Opzione sulla carta rifiutata da tutti: un emendamento contrario al “no deal” è stato respinto a grande maggioranza dai Comuni, pochi minuti dopo il voto a favore della riapertura del negoziato. Ma potrebbe lo stesso diventare realtà, perché il 29 marzo, in mancanza di rinvio o altri accordi, secondo le norme il Regno Unito uscirà dall’Unione automaticamente, provocando un terremoto economico. Non a caso ieri la sterlina è precipitata. L’unico in grado di salvare May potrebbe essere Jeremy Corbyn, disposto a trattare con lei ora che il parlamento si è espresso contro il “no deal”, con un voto non vincolante ma di cui il governo dovrebbe tenere conto. Il primo incontro fra la premier e il capo dell’opposizione era in programma ieri sera, qualche ora dopo l’ennesimo duello verbale fra i due alla camera: le contraddizioni, del resto, sembrano il pane quotidiano della Brexit. Senonché, per appoggiare l’accordo May, Corbyn vuole che la Gran Bretagna resti nell’unione doganale, ma è proprio quello che non vogliono gli ultra brexitiani votando per riaprire il negoziato. Trionfo o disfatta per Theresa May, dunque? Ci vorrebbe Kipling per trattare questi due mentitori allo stesso modo.
Enrico Franceschini