La situazione non è peraltro rosea neppure per le altre grandi economie continentali. La Francia passa quest’anno dallo 0,9% allo 0,4% (quanto previsto dal Governo nell’ultima revisione di pochi giorni fa) e l’anno prossimo dall’1,5% all’1 per cento. E la Germania, il vero motore trainante della zona euro, non dovrebbe andare oltre l’1,5% quest’anno (lo 0,4% in meno rispetto alle stime di maggio) e confermare questo dato nel 2015 (una correzione dello 0,6%).
Delle principali economie dell’Ocse (organizzazione alla quale aderiscono 34 Paesi) solo il Brasile registra quest’anno una revisione superiore a quella dell’Italia (dell’1,5% a +0,3%), ma quest’ultima è comunque l’unica in recessione. Mentre l’anno prossimo l’Italia sarà davvero il fanalino di coda, sia in termini di entità della correzione sia in termini di ritmo della crescita (se di crescita si può parlare).
Lo scenario tracciato dall’Ocse sottolinea inoltre l’aumento delle divergenze tra le varie economie. La ripresa rimane infatti solida negli Stati Uniti: 2,1% (-0,5%) quest’anno e 3,1% (-0,4%) il prossimo. In Gran Bretagna: 3,1% (-0,1%) nel 2014 e 2,8% (+0,1%) nel 2015. In Cina: rispettivamente 7,4% e 7,3 per cento (invariate). In India: 5,7% (+0,8%) e 5,9% (invariata).
Il vero problema, il vero malato del mondo, è appunto l’Eurozona. Che alla crescita debole, debolissima, aggiunge la bassa inflazione, in calo ormai da tre anni. «Un’inflazione vicina allo zero – si legge nel rapporto dell’organizzazione parigina – aumenta chiaramente il rischio di uno slittamento nella deflazione, con la prospettiva di perpetuare la stagnazione e aggravare il peso del debito».
La ricetta dell’Ocse immagina quattro linee di intervento. La prima riguarda il sostegno alla domanda, ai consumi. Il capo economista pro tempore dell’organizzazione, Rintaro Tamaki, sostiene che le retribuzioni devono aumentare, sia pure di pari passo con i necessari recuperi di produttività.
La seconda concerne le scelte europee in termini di rigore nella gestione dei conti pubblici. Come alcuni Paesi (Francia, Italia) vanno sostenendo da tempo, anche l’Ocse ritiene che vadano usati tutti i margini di flessibilità consentiti dalle regole in situazioni eccezionali, rallentando il ritmo di risanamento dei conti pubblici per privilegiare gli investimenti (soprattutto infrastrutturali) e il sostegno alla crescita.
La terza linea di intervento punta su una riduzione del cuneo fiscale, della tassazione del lavoro. Priorità che è stata chiaramente individuata anche dai ministri dell’eurogruppo e dell’Ecofin nel vertice milanese dello scorso fine settimana.
Infine il ruolo della Bce. «Bisogna smetterla – ha detto Tamaki – con questa immagine di una politica monetaria che arriva sempre troppo tardi e non fa mai abbastanza. La Bce sta facendo bene, ma deve fare di più, deve spingersi più avanti nella sua politica di quantitative easing». Comprando – finalmente e massicciamente – debito pubblico.
La rotta di collisione tra l’Ocse e Berlino non potrebbe essere più evidente.