«Avevo segnalato, durante il mio operato decennale all’Apsa, delle grosse anomalie nell’apparato. Mi sono rivolto ad alti prelati, tra cui anche il cardinal Bertone». Monsignor Nunzio Scarano, arrestato lo scorso 28 giugno per il fallito tentativo di far rientrare in Italia 20 milioni di euro dalla Svizzera, nel corso del suo terzo interrogatorio tira in ballo il gotha del Vaticano. Trascina nella vicenda che lo ha travolto nomi di funzionari dello Ior e dell’Apsa – come quello di Paolo Mennini, numero uno dell’agenzia che amministra il patrimonio della sede apostolica – coinvolti, a suo dire, in «grosse attività illecite» che lui più volte aveva segnalato a chi doveva sapere e, a quanto pare, avrebbe fatto finta di niente.
Accuse forti e circostanziate che ora il procuratore aggiunto Nello Rossi (che ieri ha ascoltato il prelato nel carcere di Regina Coeli insieme al pubblico ministero Rocco Fava), sta pesando col bilancino. È iniziato alle 15 edè finito poco dopo le 18 l’interrogatorio di Scarano, arrestato insieme a un ex 007 dell’Aisi, Giovanni Maria Zito, e all’operatore finanziario Giovanni Cerenzio, per il riciclaggio di soldi, depositati in una banca elvetica, riconducibili ai cugini armatori Paolo Cesare e Maurizio D’Amico, a cui lui dice di aver fatto un favore «in virtù di un autentico legame con il capostipite della famiglia, senza ricavarne alcun interesse personale». Concorso in corruzione e calunnia sono le accuse che a fine giugno hanno portato i tre in carcere.
Ieri però l’alto prelato ha deciso di vuotare il sacco e di spostare l’attenzione da sé e dall’operazione nel mirino della Finanza. Rispetto alla sua vicenda nonsi è sottratto alle domande dei magistrati ribadendo quanto già dichiarato nell’ultima audizione. Monsignor Scarano è stato invitato ad esplicitare meglio quanti soldi, e per conto di chi, ha movimentato durante la sua permanenza all’Apsa e quanti capitali ha fatto entrare o uscire dall’Italia. Così, «proseguendo sulla linea della collaborazioneintrapresa all’indomani dell’arresto », ribadisce il suo avvocato il penalista Caroleo Grimaldi, avrebbe fatto riferimento ad altre circostanze ben precise che i pm romani dovranno ora riscontrare. Il 30 luglio saranno i magistrati di Salerno, che indagano su alcune ipotesi di riciclaggio, a interrogare il monsignore.
Nei prossimi giorni i difensori di Scarano, tenteranno di giocare davanti all’ufficio gip di Roma la carta della scarcerazione: «Il monsignore è sotto controllo medico — fanno sapere — non sta bene, è provato ed è molto sofferente. Riteniamo che questa situazione, considerata anche alla luce della collaborazione che sta caratterizzando i suoi interrogatori, sia motivo sufficiente per ottenere una misura alternativa alla custodia cautelare in carcere».
Mentre lui lancia accuse sembra che, dalla Santa Sede, lo stiano mollando. Il promotore di Giustizia del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, l’avvocato Raffaele Coppola, non solo ha recentemente disposto il congelamento dei fondi intestati presso lo Ior a monsignor Nunzio Scarano (attualmente sospeso dalle sue funzioni), ma ha anche avviato (e appena concluso) un’indagine interna su tutti i suoi conti relativi agli ultimi dieci anni. Il report, già consegnato all’Autorità d’informazione finanziaria vaticana, evidenzia che Scarano ha movimentato in dieci anni una somma cumulativa che non supera i 9 milioni di euro. L’intenzione di Coppola è, se sarà necessario, collaborare con la Procura di Roma e di fornire copia della stessa indagine.