Più profonda la trasformazione degli equilibri interni nel caso di un passaggio al sistema monistico: in questo caso la banca si doterebbe di un solo consiglio di amministrazione, nominato dall’assemblea dei soci, mentre sarebbe eliminato il collegio sindacale (il controllo contabile sarebbe affidato a un soggetto esterno come un revisore). Secondo le linee guida del monistico, peraltro, a esercitare la funzione di controllo sulla gestione sarebbe un “comitato ad hoc”, eletto nell’ambito del Cda stesso. Accanto a questo è prevista la costituzione di altri comitati interni. Di impronta anglosassone, il sistema monistico di norma viene apprezzato perchè offre una modalità di governo della società più semplice rispetto agli altri modelli, favorendo la circolazione delle informazioni tra l’organo che ha ruoli amministrativi e quello deputato al controllo.
Quello che appare certo, tuttavia, è l’abbandono del sistema di governance duale (con separazione tra il Consiglio di Gestione e il Consiglio di Sorveglianza) che la banca ha adottato sin dai tempi della fusione, datata 2007. Del resto, il presidente del Consiglio di Sorveglianza Giovanni Bazoli già nei mesi scorsi aveva messo in evidenza la necessità di un ritocco dell’attuale sistema di governance, mentre le stesse Fondazioni azioniste vedono con favore il passaggio a un sistema mono-consiglio.
I tempi per la trasformazione rimangono stretti. La bozza di riforma dello statuto, previa verifica dei soci azionisti, dovrà essere approvata quanto prima dalla Sorveglianza per poter essere sottoposta all’esame della Banca centrale europea. Anche perchè subito dopo andrà convocata l’assemblea straordinaria per la validazione definitiva, che ragionevolmente potrebbe tenersi in autunno. A quel punto, Intesa Sanpaolo si sarà dotata di una nuova struttura di governance in termpo utile per il rinnovo degli organi, previsto nell’assemblea ordinaria prevista ad aprile 2016.
Intanto il gruppo prosegue nel percorso di cessione delle partecipazioni considerate non strategiche. Ieri la banca ha ceduto sul mercato il pacchetto di azioni Telecom Italia riveniente dalla scissione di Telco (a uscire da Telecom Italia è stata ieri anche Mediobanca che ha ceduto l’1,64% del capitale): si trattava di 220 milioni di titoli, su cui erano state poste in essere operazioni di copertura dalle variazioni di prezzo, a un prezzo medio di 0,8710 euro, per un controvalore complessivo di circa 191 milioni di euro, in linea con il valore di carico.