ROMA — Esistono 109.853 domande di cassa integrazione Covid giacenti: non sono state ancora autorizzate dall’Inps, né respinte, né annullate. E senza uno di questi tre responsi l’impresa è bloccata: non può inviare all’Inps il documento SR41 con gli Iban dei lavoratori. E non può nemmeno rifare la domanda, se sbagliata.
È la prima volta che l’Istituto di previdenza pubblica sul sito un dato sin qui taciuto e di cui Repubblica ha dato conto a più riprese in questi mesi. Il 25 giugno – come raccontato qualche giorno fa – erano 107.050 le domande di cig giacenti per un totale di 1.161.218 lavoratori in attesa. Nel documento reso noto ora dall’Inps (aggiornato al 9 luglio) si ammette l’esistenza di questa giacenza, ma non si dice a quanti lavoratori corrispondano le 109.853 domande. La risposta è nella stessa proporzione usata da Inps: 11 lavoratori in media per ogni domanda. E dunque: 1,2 milioni.
Nei documenti dell’Inps si distingue infatti per tipologia di ammortizzatore sociale: ogni domanda di cig ordinaria corrisponde in media a 10,6 lavoratori, per l’assegno ordinario siamo a 15,9 lavoratori per domanda e infine per la cig in deroga – rivolta alle piccole e piccolissime attività – l’Inps conta 2,7 lavoratori per domanda.
Se dunque 1,2 milioni di lavoratori sono in attesa di capire il loro destino, ce ne sono poi 175.426 che invece ce l’hanno ben chiaro. Le domande di cig inviate dalle loro aziende sono state autorizzate dall’Inps e i datori di lavoro hanno inviato l’SR41 con gli Iban. Eppure questi lavoratori attendono ancora di essere pagati: 89.004 di questi non hanno incassato neanche una mensilità da marzo e tra di loro ce ne sono 9.850 i cui SR41 sono giunti nelle mail dell’Inps prima del 31 maggio. Sono lavoratori fermati dal lockdown, senza stipendio da allora.
Il totale (1,2 milioni più 175 mila) porta a quasi 1,4 milioni di lavoratori senza la cassa. Va anche detto che per quanto riguarda le domande in giacenza alcune sono molto vecchie – circa 23 mila arrivate prima del 31 maggio – altre sono nel mezzo – 67.278 arrivate tra l’1 e il 31 giugno – e infine una quota molto fresca: 19.610 presentate dopo il 30 giugno.
Va anche precisato che non tutti gli 1,2 milioni di lavoratori nel limbo avranno diritto a ricevere i soldi della cassa integrazione. Le verifiche dei requisiti da parte dell’Inps potrebbero portare ad esclusioni. In media però la percentuale è bassa: il 5,5% delle domande di Cig ordinaria, il 2,5% delle domande di assegno ordinario (Fis), lo 0,99% della cig in deroga.
Non è solo l’Inps ad essere in affanno. Anche il Fondo bilaterale dell’artigianato ancora aspetta dal governo i soldi per pagare tutte le richieste di cig del mese di aprile. Conta di farlo – se tutto va bene – entro i primi di agosto. Il ministero del Lavoro ha sin qui inviato a Fsba 248 milioni su 765 stanziati dal decreto Rilancio. Ma – dice il direttore Valter Recchia – servirà almeno un altro mezzo miliardo aggiuntivo per aiutare tutti gli 800 mila artigiani che hanno chiesto sostegno. Sebbene metà di loro siano tornati al lavoro in maggio.
C’è infine la grana denunciata da Marina Calderone, presidente dei Consulenti del lavoro. A suo dire Inps starebbe rifiutando «massivamente » le nuove domande di cig in deroga, quelle che – nella versione “sprint” introdotta dal decreto Rilancio – possono essere presentata all’Inps senza passare dalle Regioni e che consentono di ottenere un anticipo del 40% dell’assegno entro 15 giorni. Come racconta anche un consulente di Roma, l’Inps respinge perché «le aziende non hanno consumato le prime 9 settimane di cig concesse dal Cura Italia, anche quando questo non è vero». Se fosse vero – osserva però la vicepresidente dell’Inps Maria Luisa Gnecchi – «sarebbe una risposta inevitabile da parte di Inps che applica la legge». Anche se «noi abbiamo chiesto alla Ragioneria di essere più elastici nell’interpretare i criteri ». Al momento dunque «se un’impresa ha consumato 9 settimane meno un giorno, la sua domanda viene respinta». Questa regola – secondo Gnecchi – farà esplodere le giacenze di Inps ben oltre il livello attuale: «Le imprese temono l’autunno, tra seconda ondata di contagi e blocco degli ordini. Ecco che chi non ha mai chiesto le prime 9 settimane ora si affretta a farlo anche se non ne ha bisogno, per poi usufruire delle altre 9 da settembre ».