Hanno influito i condizionamenti europei, con tutta la Ue che ha perso peso nel confronto industriale globale, e un contesto dominato da politiche di bilancio restrittive e dall’euro forte. L’Italia ha però i suoi punti di debolezza, come l’asfissia del credito, il costo del lavoro slegato dalla produttività, la redditività ai minimi e soprattutto l’andamento della domanda interna, decisamente negativo rispetto a diversi Paesi competitor, un fattore chiave nella diminuzione del 5% medio annuo della produzione tra il 2007 e il 2013.
«Rispetto a precedenti edizioni del rapporto – spiega Luca Paolazzi, direttore del Csc – abbiamo provato a misurare la contrazione del manifatturiero in termini di fabbriche e addetti perduti». Confrontando i censimenti sull’industria del 2001 e del 2011, si registra una contrazione di oltre 100mila unità locali e quasi un milione di addetti. Un calo, aggiunge Paolazzi, proseguito nel biennio 2012-2013: altri 160mila occupati e 20mila fabbriche perdute. Csc propone una radiografia per settori – da cui emerge che macchinari, auto, alimentari, farmaceutica hanno riportato le perdite minori – e per regioni: trend peggiore per Puglia, Piemonte, Lombardia, Veneto, mentre sono andate meglio Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige.
Il rapporto rende però anche giustizia ai meriti e ai punti di forza che, nonostante tutto, continuano a caratterizzare il nostro manifatturiero. È migliorato il posizionamento nel Trade performance index (dove siamo indietro solo alla Germania) ed è stato ottenuto il quinto surplus nella bilancia commerciale di manufatti con un parallelo rafforzamento del contenuto di valore aggiunto dell’export (abbiamo superato la Francia). Contemporaneamente, osserva Paolazzi, sono state non solo preservate ma anche aumentate le risorse finanziarie destinate alla ricerca e all’acquisto di brevetti e licenze. Diverse le imprese, anche piccole, che hanno adottato cambiamenti strategici ed organizzativi per affrontare la crisi. E non manca la vivacità di un’avanguardia che guarda alle nuove prospettive offerte dalla cosiddetta manifattura “additiva”, basata sull’evoluzione della stampa 3D.
È in questa complessa cornice che, ribadisce il Csc, occorrono «interventi tempestivi» a sostegno della manifattura italiana. Interventi che mettano l’industria in grado di intercettare i grandi cambiamenti mondiali. Questi ultimi ruotano attorno a una progressiva intensificazione del commercio di prodotti industriali a livello di grandi blocchi regionali. Il commercio mondiale sta cambiando volto: un’integrazione più marcata tra manifattura e servizi, sempre più semilavorati, sempre più importanza alla prossimità fisica della produzione ai centri decisionali dell’impresa. Di qui fenomeni come il “reshoring” in atto negli Usa, ovvero il ritorno di produzioni precedentemente portate all’estero, e la valorizzazione del manifatturiero in territori specifici, cluster di sviluppo e tecnologici su cui molti Paesi si stanno orientando mentre l’Italia sembra ancora rincorrere.