Primo dato preoccupante per l’industria: secondo le stime degli imprenditori manifatturieri riportate dall’Istat l’utilizzo degli impianti a ottobre ha toccato i minimi dai tempi del Covid, senza il quale bisognerebbe tornare al 2014 per incontrare un livello così basso. Secondo dato: i crediti d’imposta generati dagli incentivi per gli investimenti delle imprese hanno superato di parecchio le previsioni di spesa, in un conto tamponato solo dai grossi ritardi nel decollo di Transizione 5.0.
Lo sforamento, anticipato sul Sole 24 Ore del 31 ottobre dopo che il ministro dell’Economia Giorgetti aveva svolto sul tema un’informativa al consiglio dei ministri, trova una prima conferma ufficiale nei numeri forniti nell’audizione di ieri dall’Ufficio parlamentare di bilancio. Al 30 settembre, si legge nel censimento riassunto nella tabella a pagina 69 della memoria consegnata dalla presidente dell’Upb Lilia Cavallari, i crediti d’imposta legati a Transizione 4.0 avevano già ridotto il gettito, tramite compensazioni, per 6,76 miliardi, cioè 2,6 in più rispetto alle cifre previste dalla relazione tecnica al provvedimento. Tra 2021 e 2024, di conseguenza, quella voce è costata fin qui 19,3 miliardi invece dei 16,6 calcolati all’inizio per tutto il quadriennio.
Ma non è questo l’unico numero ad aver tradito le attese. Perché una distanza in proporzione ancora più imponente fra previsioni e realtà arriva dagli sconti fiscali di Formazione 4.0: dovevano costare 500 milioni in tutto, e invece hanno creato compensazioni per 3,22 miliardi, cioè 6,5 volte tanto. In una corsa che ha raggiunto il picco nel 2022 e 2023, superando di slancio il miliardo all’anno, e che non è terminata nemmeno nel 2024 quando in nove mesi ha tagliato le entrate di altri 263,5 milioni. Altri 2,3 miliardi extra rispetto ai calcoli della vigilia sono stati cumulati fra 2021 e 2024 dai crediti d’imposta per le imprese del Mezzogiorno, poi transitati sotto il cappello della Zes, mentre l’unico filone in linea con le stime iniziali è rappresentato dalla Ricerca e Sviluppo, dove l’extrabudget è limitato al momento a un fisiologico 5,6% (174,6 milioni su 3,12 miliardi). Totale: questo gruppo di incentivi fiscali per le imprese è costato negli ultimi quattro anni 33,5 miliardi, cioè 4,6 più del previsto, e lo spread fra stime e realtà supererà facilmente i 5 miliardi nell’ultimo trimestre del 2024, tanto più considerando che a dicembre è in calendario la seconda rata dell’autotassazione). Non è un buco, perché le mancate entrate sono calcolate nei tendenziali aggiornati che dunque sarebbero stati ancora migliori senza questo problema. Ma i numeri misurano l’intensità delle preoccupazioni sui crediti d’imposta nutriti da Giorgetti, che in passato ha sottolineato più volte l’esigenza di renderli più sicuri per la finanza pubblica come accaduto a partire dall’anno scorso con i tetti preventivi di spesa per Zes e 5.0. E mostrano che poteva anche andare peggio.
Perché nel panorama degli incentivi alle imprese spicca un comportamento in controtendenza, quello di Transizione 5.0 che fino a settembre non ha determinato nemmeno come compensazioni nemmeno un euro dei 3,12 miliardi previsti per quest’anno. Lo «zero» in tabella (i primi 70-80 milioni sono stati utilizzati a ottobre) riassume efficacemente le difficoltà d’avvio del nuovo strumento, che peraltro non ha determinato quel passaggio dagli sconti 4.0 a quelli 5.0 scontato nelle previsioni. «Transizione 5.0 è troppo burocratica e complicata», ha detto ieri il vicepremier Matteo Salvini annunciando che «la Lega ha alcune idee» anche «per la semplificazione».
Una spesa così vivace mal si concilia con la dinamica affannosa della manifattura confermata ancora ieri dall’Istat. Lì il freno è tirato in realtà soprattutto dalla domanda interna: ma l’incrocio fra i due dati solleva nuove domande sull’efficacia dello sforzo pubblico.