09.08.2024

Impresa in regola, risponde il manager negligente

  • Italia Oggi

Se vi è corretta organizzazione aziendale in materia antinfortunistica e i vertici sollecitano l’adozione di specifiche condotte, la mancata diligenza di chi è tenuto ad adottarle esclude la responsabilità dell’ente. È quanto si evince dalla sentenza n. 31665/2024 della Corte di cassazione penale, V sez., depositata lo scorso 2 agosto.

La vicenda

La vicenda traeva origine dalla sentenza della Corte d’appello che, confermando quella del Gup di Roma, condannava una spa in relazione all’illecito previsto e punito dall’art. 25 septies d.lgs. 231/2001. Ai vertici della società, si contestava il fatto che non sarebbero state prese le dovute cautele necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori, che avrebbero dovuto effettuare il trasferimento verso un cantiere della Libia: i quattro tecnici, dipendenti della società, a seguito di questa operazione, vennero rapiti ed uccisi. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione la società, deducendo una carenza motivazionale evincibile dal fatto che la corte territoriale non avesse considerato il fatto che la società avesse adottato una serie di protocolli idonei a prevenire l’evento verificatosi in concreto e, dunque, l’addebito sarebbe da ricondurre esclusivamente al delegato alla sicurezza il quale, per negligenza, non aveva seguito le direttive societarie.

La decisione

Per la Corte di cassazione non sussiste la responsabilità della società in quanto, avendo adottato un modello organizzativo, ha operato in un contesto di generale corretto adempimento degli obblighi antinfortunistici: il comportamento colposo e imprevedibile del delegato alla sicurezza dei lavoratori all’estero ha determinato il tragico evento. Inoltre, non è emerso un apprezzabile vantaggio patrimoniale, ossia uno strutturale risparmio di spesa derivante dal mancato adeguamento alle direttive antinfortunistiche dettate dalla società. L’ente, dunque, non deve rispondere per il reato commesso dal suo dipendente, che di fatto ha generato solo un occasionale ed esiguo vantaggio patrimoniale.

La Suprema corte ha evidenziato come non rilevino in alcun modo le normali posizioni di garanzia qualora, come è avvenuto nel caso concreto, il soggetto delegato agli spostamenti dei lavoratori, ometta di osservare le cautele indicategli dai vertici della società.

L’adozione del Modello

Nel caso concreto la società ha potuto constatare concretamente come l’adozione del Modello 231, contestualmente ad una virtuosa organizzazione aziendale, abbia portato ad escludere la responsabilità dei vertici del cda per l’infortunio dovuto all’imprevedibile negligenza del delegato alla sicurezza. Il rischio di rapimenti di lavoratori all’estero era noto e la prescrizione di sicurezza era quella di non affrontare viaggi via terra, ma via mare: tale prescrizione era imposta tanto dall’autorità nazionale alla società quanto dalla società stessa al proprio manager che si occupava del trasferimento, tragicamente terminato con la morte dei dipendenti a lui affidati. La prova del ruolo attivo e virtuoso del cda, rispetto al comportamento tenuto dal manager, ha sciolto il nesso causale tra la posizione di garanzia e l’evento occorso ai dipendenti.

Se vi è corretta organizzazione aziendale in materia antinfortunistica e i vertici sollecitano l’adozione di specifiche condotte, la mancata diligenza di chi è tenuto ad adottarle esclude la responsabilità dell’ente. È quanto si evince dalla sentenza n. 31665/2024 della Corte di cassazione penale, V sez., depositata lo scorso 2 agosto.

La vicenda

La vicenda traeva origine dalla sentenza della Corte d’appello che, confermando quella del Gup di Roma, condannava una spa in relazione all’illecito previsto e punito dall’art. 25 septies d.lgs. 231/2001. Ai vertici della società, si contestava il fatto che non sarebbero state prese le dovute cautele necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori, che avrebbero dovuto effettuare il trasferimento verso un cantiere della Libia: i quattro tecnici, dipendenti della società, a seguito di questa operazione, vennero rapiti ed uccisi. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione la società, deducendo una carenza motivazionale evincibile dal fatto che la corte territoriale non avesse considerato il fatto che la società avesse adottato una serie di protocolli idonei a prevenire l’evento verificatosi in concreto e, dunque, l’addebito sarebbe da ricondurre esclusivamente al delegato alla sicurezza il quale, per negligenza, non aveva seguito le direttive societarie.

La decisione

Per la Corte di cassazione non sussiste la responsabilità della società in quanto, avendo adottato un modello organizzativo, ha operato in un contesto di generale corretto adempimento degli obblighi antinfortunistici: il comportamento colposo e imprevedibile del delegato alla sicurezza dei lavoratori all’estero ha determinato il tragico evento. Inoltre, non è emerso un apprezzabile vantaggio patrimoniale, ossia uno strutturale risparmio di spesa derivante dal mancato adeguamento alle direttive antinfortunistiche dettate dalla società. L’ente, dunque, non deve rispondere per il reato commesso dal suo dipendente, che di fatto ha generato solo un occasionale ed esiguo vantaggio patrimoniale.

La Suprema corte ha evidenziato come non rilevino in alcun modo le normali posizioni di garanzia qualora, come è avvenuto nel caso concreto, il soggetto delegato agli spostamenti dei lavoratori, ometta di osservare le cautele indicategli dai vertici della società.

L’adozione del Modello

Nel caso concreto la società ha potuto constatare concretamente come l’adozione del Modello 231, contestualmente ad una virtuosa organizzazione aziendale, abbia portato ad escludere la responsabilità dei vertici del cda per l’infortunio dovuto all’imprevedibile negligenza del delegato alla sicurezza. Il rischio di rapimenti di lavoratori all’estero era noto e la prescrizione di sicurezza era quella di non affrontare viaggi via terra, ma via mare: tale prescrizione era imposta tanto dall’autorità nazionale alla società quanto dalla società stessa al proprio manager che si occupava del trasferimento, tragicamente terminato con la morte dei dipendenti a lui affidati. La prova del ruolo attivo e virtuoso del cda, rispetto al comportamento tenuto dal manager, ha sciolto il nesso causale tra la posizione di garanzia e l’evento occorso ai dipendenti.

La Cassazione ha concluso annullando con rinvio la sentenza impugnata in quanto l’illecito amministrativo non sussiste: la società non può rispondere ai sensi del dlgs 231/2001, del comportamento del proprio dipendente, avendo adottato un modello organizzativo che, con una valutazione ex ante necessariamente correlata anche al costante rispetto fino a quel momento delle prescrizioni impartite dal suo Cda, si era dimostrato idoneo a prevenire il reato contestato.