Un progetto di chiusura della fabbrica di Taranto. Questo è, per i sindacati, il piano presentato dal governo per l’ex Ilva. Anche perché la cassa integrazione straordinaria avrà da subito una robusta impennata (dalle attuali 4.500 unità fino a 6 mila da gennaio, con la fermata delle batterie di cokefazione, e 5.700 dal 15 novembre). E poiché «pretendenti all’altezza dell’Ilva non ce ne sono», per i segretari di Fim, Fiom e Uilm che ieri hanno organizzato una conferenza stampa dopo la rottura del tavolo con il governo, «oggi non ci sono alternative allo Stato: la via per risanare e rilanciare l’Ilva passa per l’intervento pubblico».
Alla voce grossa fatta dai sindacati ha fatto seguito, in serata, l’apertura del governo: E in serata la convocazione del governo è arrivata. «Dando concreto seguito alla disponibilità a proseguire il confronto sull’ex Ilva – si legge in una nota di Palazzo Chigi – il governo ha convocato le organizzazioni sindacali per martedì 18 novembre al fine di riprendere il dialogo sulle prospettive occupazionali dei lavoratori del gruppo».
In attesa del nuovo incontro, i sindacati hanno spiegato la loro posizione: «Si fa un intervento sulle spalle dei lavoratori — ha esordito nella conferenza stampa congiunta il leader della Fim Cisl Ferdinando Uliano — volto a fare cassa. Si prevedono più dismissioni che rilancio industriale. Il governo non esplicita come si intende operare per dare risorse alla gestione ordinaria. A gennaio, su 10 mila occupati, avremmo circa 6 mila cassintegrati, a cui aggiungere i 1.600 di Ilva in amministrazione straordinaria che sono in cassa integrazione continua. Una trattativa? Si apre quando c’è un soggetto industriale che presenta un piano. Ma se non ci sono investitori, il governo deve farsi lui imprenditore e verificare se in seguito se ci sono disponibilità di privati». Sulla stessa lunghezza d’onda anche le dichiarazioni di Rocco Palombella, segretario generale della Uilm: «Abbiamo chiesto: quando iniziate i lavori per i forni elettrici, quando cominciate i lavori per il Dri? Nessuna risposta. Mai nessuno aveva fermato le batterie coke che servono agli altiforni e ne servono quattro. Invece per la prima volta hanno dichiarato di fermare le batterie. Questo significa fermare gli impianti. Vogliono tenere in funzione gli impianti? Ma come fanno a tenerli in funzione senza le batterie? La decarbonizzazione comporterà certo una riduzione di personale, ma una cosa è la riduzione, altra è la distruzione. E questa è una distruzione». E anche per questo Michele De Palma, segretario generale della Fiom-Cgil, ha chiamato in causa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: «Il ministro Urso ha sostenuto un piano completamente diverso rispetto a quello concordato, è stato un tradimento da parte del ministro. Chiediamo alla presidente del Consiglio di assumere il tavolo Ilva, superando la condizione di ieri. È una questione strategica».
Prima della nuova convocazione di Palazzo Chigi, il ministro delle Imprese Adolfo Urso, durante il question time alla Camera, era tornato sulla vertenza: «Dobbiamo tener conto delle condizioni reali: c’è un solo altoforno in funzione, perché il secondo che avevamo riattivato è sotto sequestro della magistratura».
Dopo l’addio di Baku Steel, Urso adesso punta sull’interesse di Bedrock e Flacks Group e su quello possibile dell’ultimo arrivato. Che potrebbe essere Qatar Steel.