25.10.2013

Il super-euro vola sopra 1,38 dollari

  • Il Sole 24 Ore

«Più che di forza dell’euro bisognerebbe parlare di debolezza del dollaro». La risposta di chi opera sui mercati valutari a chi gli chiede le ragioni del recente balzo dell’euro-dollaro, ieri oltre 1,38 dollari ai massimi da novembre 2011, è sempre la stessa: più che i fondamentali sono le scommesse sulla politica monetaria della Banca centrale americana a indirizzare i mercati. È da quì che bisogna partire per spiegare perché l’euro si è rafforzato e perché questo trend potrebbe continuare nei prossimi mesi.
Il ruolo della Fed
Per inquadrare al meglio la faccenda bisogna fare un passo indietro al 22 maggio di quest’anno. Quel giorno, in un’audizione al Congresso americano il governatore della Fed Ben Bernanke fa direttamente riferimento alla possibilità di ridurre gli stimoli monetari con cui ogni mese, attraverso acquisti di titoli di Stato e altre obbligazioni, la banca centrale immette sui mercati 85 miliardi di dollari di liquidità. Per il mercato è una svolta. La prospettiva della fine degli stimoli (in gergo tapering) ha un impatto dirompente sul biglietto verde che si rafforza. A luglio il dollar index, che monitora l’andamento del cambio rispetto a un paniere delle principali valute, tocca i massimi dal 2010. L’euro in quei giorni viaggia a quota 1,28. Un minimo da cui però risalirà presto. Basta che Bernanke rassicuri sul fatto che la riduzione degli stimoli dovrà essere accompagnata da un solido recupero dell’economia (occupazione in primis) e la moneta unica si riporta oltre 1,30. Ad agosto poi iniziano arrivare timidi segnali di ripresa dall’economia europea. Le Borse corrono e la moneta unica si riporta oltre 1,34.
E arriviamo a settembre. Mercoledì 18 c’è un attesissimo direttivo della Federal Reserve. Il mercato si aspetta un taglio di 10 miliardi di dollari al mese degli stimoli monetari ma la banca centrale spiazza tutti e mantiene invariata la sua politica monetaria. Nel frattempo nella corsa alla successione di Ben Bernanke il candidato “falco” Larry Summers si ritira facendo salire le quotazioni della “colomba” Janet Yellen. Per l’euro-dollaro è un’altra spinta.
La crisi fiscale
È però ad ottobre che il rialzo della moneta unica si consolida definitivamente. L’amministrazione Obama resta impantanata in una crisi fiscale che le impone una serrata degli uffici pubblici (shutdown) che dura 16 giorni. Alla fine democratici e repubblicani riusciranno a trovare un accordo su debito e spesa pubblica. Ma è un accordo al minimo sindacale che serve solo a guadagnare qualche mese di tempo. C’è poi da considerare l’impatto dello shutdown sull’economia americana. In particolare sull’occupazione, variabile che la banca centrale ha indicato come determinante per le sue scelte. Martedì 22 il dipartimento del lavoro pubblica le prime statistiche dopo due settimane di stop. Sono dati relativi a settembre, che non tengono conto dello shutdown. Ma sono peggiori del previsto. Tradotto: la Fed aspetterà a fare il “tapering”. Il cambio balza in una sola seduta da 1,3680 a 1,3780 e su questo livello si mantiene fino a ieri quando arriva il fatidico sforamento di quota 1,38. Numeri che destano più di una preoccupazione per l’impatto negativo che questo potrebbe avere sulle esportazioni dell’area euro e, di riflesso, sulla timida ripresa dell’economia in atto.
Quanto salirà ancora l’euro
La soglia di 1,40 dollari, se non oltre, per molti è a portata di mano. E questo perché la prospettiva del “tapering” ora è meno probabile. L’economia Usa potrebbe risentire dello stallo fiscale delle ultime settimane e la Fed ha detto chiaramente che, in assenza di un miglioramento della congiuntura, non taglierà gli stimoli. La banca centrale sta poi per affrontare un cambio della guardia con l’insediamento di Janet Yellena fine gennaio. Nello stesso periodo il Congresso Usa dovrà trovare un accordo su debito e spesa pubblica e, visti i precedenti, non è da escludere che si possa ripetere un altro clamoroso stallo. «Tutto gioca a sfavore del dollaro» commenta un trader. Il mercato lo sa e compra una valida alternativa: l’euro.