29.09.2015

Il prezzo imposto «segue» la casa

  • Il Sole 24 Ore

Quando un piano di edilizia residenziale pubblica venga realizzato in base a una convenzione tra l’impresa costruttrice e il Comune, stipulata ai sensi della legge 865/1971, nella quale sia pattuito un “prezzo imposto” per la vendita delle singole unità immobiliari comprese nel Peep, questo prezzo deve essere applicato anche in tutte le rivendite successive alla prima (e cioè successive a quella tra il costruttore e il primo compratore).
È quanto la Cassazione ha deciso, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18135 del 16 settembre 2015, nella quale è stato precisato che, invece, il prezzo di vendita “imposto” in conseguenza delle convenzioni stipulate ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge 10/1977, vale solo per la prima vendita, ma non per le rivendite successive (come già ritenuto dalla Cassazione nella sentenza n. 13006/2000). Le convenzioni di cui alla legge 10/1977 non sono inerenti l’edilizia residenziale pubblica (come quelle della legge 865/1971), ma consentono lo sconto degli oneri concessori a favore del costruttore che si impegni a moderare i prezzi delle sue vendite (o locazioni) oppure alla realizzazione di opere di urbanizzazione.
La controversia giunta all’esame della Suprema corte concerneva l’inadempimento di un contratto preliminare di vendita, avente a oggetto la proprietà superficiaria di un appartamento edificato sulla base di una convenzione Peep, stipulata tra il Comune di Roma e la società costruttrice, ai sensi dell’articolo 35, legge 22 ottobre 1971 n. 865. In questo preliminare, la promittente venditrice e la promissaria acquirente avevano pattuito un prezzo fissato convenzionalmente, sul presupposto che il vincolo di determinazione del prezzo (stabilito nella convenzione con il Comune) fosse venuto meno; successivamente, però, la parte promissaria acquirente aveva rifiutato di acquistare al prezzo convenuto, intendendo pagare solo il prezzo “imposto” dalla convenzione.
Alle Sezioni unite è stato dunque chiesto se il vincolo di imposizione del prezzo operi solo nei confronti del cessionario che acquisti dalla società costruttrice (come deciso dalla Cassazione nella sentenza n. 7630/2011 e nella sentenza n. 13006/2000) o anche nei confronti dei successivi aventi causa dal primo cessionario (come deciso dalla Cassazione nella sentenza n. 9266/1995).
La Cassazione fonda, in particolare, la sua decisione sul rilievo che l’articolo 31, comma 49-bis, legge 448/1998 (introdotto dal dl 70/2011, convertito in legge 106/2011), ha statuito che i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 865/1971, «possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario» con il Comune verso il pagamento di un corrispettivo stabilito dal Comune stesso sulla base di un decreto ministeriale. Questa norma dunque evidenzia chiaramente che, in mancanza della predetta convenzione, il vincolo del prezzo «segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita».
Ne segue che la clausola del contratto preliminare nella quale sia stabilito un prezzo convenzionale superiore a quello “imposto” si intende affetta da nullità e automaticamente integrata con il prezzo “imposto”, ai sensi dell’articolo 1419 del Codice civile. Si tratta infatti di una nullità parziale e cioè un vizio che concerne solo la specifica clausola contrattuale contraria a legge, senza estendersi all’intero contratto: con la conseguenza che alla clausola nulla si sostituisce ex lege la volontà della legge (ai sensi dell’articolo 1339 del Codice civile); nel caso specifico, la volontà del legislatore di non permettere speculazioni in sede di successiva rivendita a chi abbia approfittato di un regime di favore predisposto per agevolare (nell’acquisto dell’abitazione) i ceti meno abbienti e non per agevolare il conseguimento di plusvalenze da rivendita.