Dopo tre anni di recessione ininterrotta e di fronte a prospettive meno che brillanti, c’è ormai un elemento chiaro: non esiste un abracadabra capace di risolvere la crisi italiana e quella europea in una notte. Sarà un lavoro lungo: ci vorranno dieci anni per uscire da questa situazione – fu l’onesta previsione (ma forse ottimista) di Angela Merkel nel 2010.
Il quadro dell’economia globale non è necessariamente drammatico, pur nella confusione del momento. In particolare, il calo del prezzo del petrolio avvantaggerà i Paesi importatori come l’Italia. È vero che la caduta del prezzo del greggio — attorno al 40% in sei mesi — è in parte offuscata dall’indebolimento dell’euro sul dollaro (valuta nella quale si paga il petrolio). Gli esperti, però, prevedono che si potrebbe comunque trattare di una riduzione della bolletta energetica italiana tra i sei e gli otto miliardi di dollari, su base annua. Ma anche in questo caso occorre non cadere nell’errore di ritenere questo «dividendo» scontato o sufficiente per fare riprendere l’economia.
Innanzitutto, la caduta repentina del prezzo del greggio ha effetti collaterali difficili da prevedere. Ad esempio sul rublo (l’economia della Russia è totalmente dipendente dall’export energetico) che ieri è di nuovo crollato rovinosamente: nel 1998 una situazione del genere innescò una crisi seria sui mercati finanziari. In secondo luogo, le incertezze della politica europea rimangono considerevoli. Il Piano Juncker di investimenti lanciato la settimana scorsa difficilmente darà risultati consistenti in termini di crescita aggiuntiva. E anche gli stimoli che ci si attende dalla Banca centrale europea di Mario Draghi non sono garantiti. Gli acquisti di titoli privati che la Bce ha da poco iniziato a effettuare per ora sono stati modesti. Risultati più consistenti potrebbero arrivare da un programma di acquisto di titoli di Stato europei: ma qui le opposizioni politiche in Germania e di dottrina della Bundesbank non sono evaporate.
Nessuna magia prevedibile, dunque. Solo una lunga strada di riforme economiche che rendano efficienti gli stimoli monetari e di bilancio. In fondo è questo il pelo nell’uovo raccontato ieri dall’Istat.