Il resto della lista si divide sui vari filoni dell’innovazione: life science (21,38%), automazione flessibile (9,26%), hardware per informatica (9,21%), biotecnologia (6,18%), elettronica (6,08%). «Se siamo innovativi sui prodotti classici non possiamo non essere innovativi sui servizi di tecnologia avanzata – sottolinea Celeste -. Anche in questo caso, il “made in Italy” è molto apprezzato. Parliamo ad esempio delle energie rinnovabili? Scopriamo che l’America ha bisogno delle tecnologie e delle competenze italiane». Certo: l’euro forte incide sui risultati, con profitti alleggeriti dal tasso di cambio. Eppure, spiega Celeste, le ragioni che rinforzano il cordone tra Italia e Stati Uniti vanno ben oltre il dato monetario: «Anche se il dollaro fosse più forte, il discorso non cambierebbe – dice Celeste – Il prodotto italiano vende perché offre di più, dà soddisfazione. Insomma, non tradisce il consumatore dà il massimo del rendimento». Questione di “reputation”, la reputazione conquistata sul mercato. Un principio che non fa discriminazione tra cappelli di paglia realizzati a Firenze e start up a caccia di finanziamenti a New York.
Anche perché è proprio su quella che si gioca un tavolo in crescita negli Stati Uniti: l’e-commerce, il commercio elettronico che veicola quasi un acquisto su 10 nel mercato americano. Clienti, rivenditori e piattaforme digitali viaggiano su più fasce d’età e target di prezzo, con una gamma di prodotti che non esclude il made in Italy. Anzi: «L’e-commerce pesa per il 10-12%. sugli acquisti – spiega Celeste – Abbiamo lavorato e stiamo proponendo degli accordi per far passare i prodotti italiani. Non è solo una questione di rapporti, o di canali: o il prodotto si vende o l’azienda lo elimina». Il mercato, del resto, si sta evolvendo con le nuove generazioni. Quella che influenzerà i consumi di lungo periodo sono i “millenials”, giovani dai 35 anni in giù con gusti ben diversi dai genitori. «Sono più sofisticati, attenti al prodotto. Hanno viaggiato in Europa e vogliono articoli “customizzati” sulle proprie esigenze. Vanno ascoltati perché sono un investimento di lungo periodo» spiega Celeste. E se si pensa ai professionisti al lavoro nella Silicon Valley, in California, il quadro si completa con un’altra specialità italiana: i talenti under 30. «Qui c’è un circolo virtuoso, di creativi e professionisti che si sentono liberi – dice Celeste – C’è un humus di ricerca, progetti scientifici, progetti che si ritrovano con una grandissima facilità».