Formalmente, questo vertice che pure riunisce capi di Stato e di governo (15 su 28) non è poi un vertice ma una «conferenza», così hanno voluto certi mugugni tedeschi nel cuore dell’estate. Essendo assai magro, a dir poco, l’ordine del giorno, tutto ruoterà intorno alle notizie attese da Roma: cioè al voto di fiducia sul Jobs act, che Renzi potrà gettare sul tavolo per mostrare agli altri leader la buona fede e la buona volontà dell’Italia nel proseguire sulla strada delle riforme.
Uno o due mesi fa, il tema preannunciato da Roma era «crescita, investimenti e lavoro», oggi è rimasto solo il lavoro, o l’occupazione, sempre per via di malumori germanici (traducibili in qualcosa come «e se la parola “crescita” finisse per eclissare il “rigore”»?). Ieri, a scanso di equivoci, il solito portavoce della cancelleria di Berlino ha aggiunto: «Il patto di stabilità e crescita non sarà un tema del vertice di Milano. Non posso escludere che alcuni rappresentanti di alcuni paesi vorranno parlarne, ma il patto era che questo vertice sarebbe stato solo sul lavoro». Ce n’è anche per chi, a Roma o a Parigi, ha parlato di imposizioni tedesche: «Il patto di stabilità e crescita è stato deciso insieme, non è una invenzione tedesca. Sono stati presi degli accordi, e sarà adesso la Commissione europea a valutare».
Resta comunque, e non come fattore secondario, quel sostegno dichiarato a Renzi dal governo tedesco sulla riforma del lavoro. Anche se Berlino precisa subito di non poter «esprimere giudizi» sugli affari di un altro Stato.