03.03.2016

Il fallimento batte i trust

  • Italia Oggi

Ammissibile la creazione di Trust liquidatori o di salvataggio ma mai a discapito del fallimento che dovesse intervenire. Non è riconoscibile, infatti, un trust istituito in presenza di un preesistente stato di insolvenza. Non accettabile la cancellazione dal registro imprese della società solo perché si affidi al trust liquidatorio. Proficuamente impiegabile, invece, lo strumento per gestire la crisi di impresa. Molta attenzione, tuttavia alle responsabilità degli organi sociali. È quanto emerge dalle indicazioni fornite dal Notariato nazionale con lo studio n. 305/2015/I rubricato: «Il trust liquidatorio e il trust a supporto di procedure concorsuali», pubblicato il 2/3/16.

Benché non esista un vero ostacolo assoluto all’impiego del trust nelle procedure concorsuali, il notaio dovrà adottare un approccio prudente e attento ai modi, alle procedure e ai vincoli nella redazione del regolamento negoziale dell’istituto. Dalla lettura delle numerose pronunce giurisprudenziali (infra multis: Cass. 9/5/14, n. 10105, Trib. Forlì 4/2/15, Ravenna 22/5/14, Milano 28/3/14) si desume come risulti più accettabile l’adozione di trust di salvataggio, rispetto a quello liquidatorio e comunque che non possa farsene un uso generico e illimitato, poiché la legittimità dell’utilizzo del trust dipende dalla legittimità dell’intera operazione nel cui ambito si inserisce l’atto di segregazione. Se i debitori e i terzi, puntualizza il Notariato, agiscono nei limiti consentiti dalla legge fallimentare e dal sistema delle revocatorie, anche alla luce del nuovo art. 2929 bis c.c e art. 64 l.fall. come modificato dalla legge 132/2015, nulla osta a che il programma di risanamento o di liquidazione dell’impresa passi anche per il tramite di un trust. Il dato che emerge dalla ricostruzione proposta nello studio in commento è che sul tema i giudici sono intervenuti con notevole rigore di fronte a fattispecie di uso abusivo del trust dichiarando spesso la nullità o inefficacia dell’atto istitutivo o degli atti di conferimento dei beni in trust e hanno disposto talora il sequestro conservativo dei beni trasferiti al trustee per violazione della par condicio creditorum.

Non pochi problemi si rinvengono, poi, nella fattispecie in cui una società posta in liquidazione trasferisca l’intero patrimonio sociale (attivo e passivo) a un trust, e presenti il bilancio finale di liquidazione per ottenere la cancellazione dal registro delle imprese. Ebbene in tal caso la cessione è senza corrispettivo, dunque senza realizzo, e quindi non coincide con l’attività di liquidazione che, rileva il Notariato, non è stata effettuata anzi non è stata neanche iniziata. In altri termini, si cancella perché si è liquidato; il fatto che si riservi la liquidazione a un terzo (meramente programmata attraverso la costituzione del trust) e non la si realizzi secondo il procedimento classico non conduce in alcun modo a ritenere conclusa l’attività liquidatoria. Sul tema si ricorda, inoltre, la presa di posizione del Registro imprese della Cciaa di Milano che non iscrive bilanci finali di liquidazione con riporti a «zero» di tutte le poste attive e passive in seguito all’istituzione di un trust liquidatorio o di un trust cui siano conferite le attività e le passività sociali affinché la liquidazione sia successivamente compiuta dal trustee (si veda anche ItaliaOggi del 22/2/16).

Non va dimenticato, poi che nell’apprezzamento della causa del trust entrano in gioco le valutazioni operate dal giudice e che comunque restano salve le responsabilità degli organi sociali (amministratori, liquidatori e sindaci) nei confronti dei creditori sociali e dei terzi. Difatti, l’affrettata liquidazione e cancellazione della società, puntualizza il Notariato, tale da lasciare insoddisfatti creditori sociali di cui gli organi conoscevano l’esistenza, rappresenta proprio l’ipotesi più classica di responsabilità ex art. 2395 c.c.