I giudici di merito avevano considerato, infatti, irrilevanti i verbali dell’assemblea “liquidandoli” come meri atti preparatori, «tanto più in assenza di prova sulla percezione di compensi o la sottoposizione a direttive di lavoro». La corte d’Appello si era spinta anche oltre escludendo «la configurabilità di un duplice rapporto di lavoro per lo svolgimento di mansioni semplici espletabili da un unico lavoratore».
Ma all’ultimo grado di contenzioso le lavoratrici hanno trovato il loro giudice a Berlino. La Cassazione ha dato ragione alle ricorrenti affermando la possibilità per l’assemblea di assumere con tutti gli oneri e le responsabilità che ne derivano.
I giudici di legittimità bacchettano i colleghi del merito, che hanno ignorato le due delibere dell’assemblea con le quali il condominio aveva deciso di instaurare con ciascuna delle due ricorrenti un rapporto di lavoro «per 27 ore mensili a tariffa sindacale per lavori di manutenzione e pulizia». La sezione lavoro della Cassazione chiarisce che l’assemblea dei condomini, oltre ad avere il potere di delegare l’amministratore a concludere un determinato contratto, fissando i limiti precisi dell’attività negoziale che questo deve svolgere, può anche agire in proprio, dando direttamente il consenso alla conclusione di un contratto: «Non essendo previsto alcun divieto al riguardo nella disciplina del condominio e non sussistendo alcun impedimento tecnico-giuridico per una efficace manifestazione di volontà negoziale da parte dell’assemblea». Un potere che inchioda i condomini alle loro responsabilità.
A provare il rapporto di lavoro subordinato oltre alle delibere ci sono anche i fatti concreti: l’occupazione dell’alloggio condominiale, la continuità della prestazione, l’inserimento stabile nella struttura datoriale e l’assenza del rischio d’impresa. La Cassazione dà particolare peso all’abitazione. Nel rapporto di portierato, la subordinazione va verificata in base «all’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore, esercitato mediante il controllo dei singoli condomini» in questo contesto – spiega la Corte – l’alloggio messo a disposizione all’interno dello stabile, se non è giustificato da altre ragioni, si presume che sia la dimora di chi in quel palazzo lavora come portiere, svolgendovi anche un’ attività di custodia e di vigilanza. La Cassazione annulla la sentenza della corte d’Appello e la invita e formulare un nuovo giudizio sulla base delle indicazioni fornite.