«Mi aspetto che nel giro di cinque anni il 30-40% di questi marchi finirà in mani straniere o di un fondo di investimento italiano» azzarda, ma con una certa cognizione di causa, Pierangelo Biga, managing partner di Icm Advisors: a produrre la lista delle “magnifiche 50” è stata la Icm Research, che fa capo allo stesso gruppo internazionale. I nomi sono tutti nella tabella.
La mappa è di quelle preziose. Dall’inizio della crisi a oggi, i marchi del made in Italy volati all’estero sono andati progressivamente aumentando. Le acquisizioni di Versace, Loro Piana o Valentino sono tra gli annunci che hanno avuto più risonanza nel campo della moda. Ma hanno fatto storia anche il passaggio in mano straniera di campioni dell’arredamento come Poltrona Frau, o di gemme del gusto come la pasticceria Cova o la cantina Casanova a Greve in Chianti. L’ultimo shopping, in ordine di tempo, lo hanno fatto i soliti cinesi, che il mese scorso si sono portati a casa l’olio Berio: e tutti noi a chiederci sui giornali chi sarà il prossimo. Forse, proprio in questa lista, c’è la risposta.
L’analisi – che è stata commissionata da Legalcommunity.it e che verrà presentata giovedì a Milano durante l’evento “Fashion Food Furniture – Save the Brand” – si basa sul calcolo del valore del portafoglio marchi di queste imprese, sul loro tasso di crescita medio e sulla loro redditività operativa. Alcune sono aziende emergenti con brand vitali, altre sono società mature che hanno saputo innovare. Qualcuno è già stato acquisito, come Acetum per mano di Clessidra. Qualcun altro, come Liu Jo, ha già addosso gli occhi dei fondi.
In prima fila si trovano i marchi della moda: «Nell’area uomo – sostiene Biga – ci sono le società più interessanti. Penso a marchi come Kiton, o come Corneliani. Ma anche a un brand giovane dell’abbigliamento femminile come Fabiana Filippi, uno dei migliori in termini di performance economiche fra quelli analizzati». Nel settore alimentare, invece, i più appetibili sono i marchi del segmento lusso-gourmet: società non grandi, ma che si muovono bene sullo scenario internazionale, magari perché hanno saputo conquistarsi gli scaffali di Harrods o dei magazzini Lafayette. Il pensiero va ad aziende come Venchi, o Caffè?Vergnano. «Quanto al settore dell’arredamento – aggiunge Biga – che ha accusato di più la crisi, davanti agli investitori avrà un vantaggio chi è più technology-driven». Sul modello di Kartell, Flos, Minotti.
Tra le “magnifiche 50” sono rappresentate tanto le società per azioni, quanto le aziende cosiddette di famiglia. Chi ha le chance maggiori di attirare i capitali internazionali? «Al momento – spiega Biga – la mia società sta gestendo diversi progetti che riguardano le aziende di famiglia, e questo significa che, nonostante risultino più deboli nei processi di internazionalizzazione, sanno essere comunque appetibili. A patto però che non siano alle prese con problemi di passaggio generazionale».