Il problema organizzativo nasce dall’applicazione immediata e senza scaglionamenti graduali della nuova norma, dal momento che di quei 445 giudici e pubblici ministeri destinati alla pensione di qui a un anno e mezzo, due su tre ricoprono incarichi apicali negli uffici giudiziari: 191 direttivi e 104 semidirettivi, per un totale di 295. Il che significa che entro il dicembre 2015 si dovrà rinnovare per due terzi la guida del potere giudiziario in Italia. Nel dettaglio, a parte i vertici della Corte suprema e della Procura generale (quelli attuali e i principali candidati alla loro successione), bisognerà sostituire 31 procuratori della Repubblica, titolari dell’azione penale; 50 presidenti di tribunale, 15 presidenti di corte d’appello e altrettanti procuratori generali distrettuali, e 51 presidenti di sezione della Cassazione (il «palazzaccio» sarà l’ufficio più colpito, al punto da convincere il primo presidente Giorgio Santacroce a scrivere un’insolita quanto allarmata lettera al ministro della Giustizia). E ancora presidenti dei tribunali di sorveglianza, procuratori e presidenti dei tribunali minorili, avvocati generali della Cassazione. Tra i 104 incarichi semidirettivi da rinnovare ci sono soprattutto procuratori aggiunti e presidenti di sezione dei tribunali e delle corti d’appello.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione, generazionale ma anche culturale, visto il peso dei nomi di coloro che lasceranno la toga: da Bruti Liberati, per l’appunto, al pg e ai presidenti di tribunale e corte d’appello milanesi Minale, Pomodoro e Canzio; da Gabriella Luccioli, prima donna a entrare in Cassazione, a Marcello Maddalena già procuratore e ora pg a Torino, fino a Leonardo Guarnotta, ultimo magistrato ancora in servizio del nucleo fondativo del pool antimafia di Falcone e Borsellino. E molti altri nomi che con le loro indagini o sentenze hanno scritto la storia della giurisdizione italiana.
A condurre questa rivoluzione — che prevedibilmente creerà non pochi contenziosi davanti ai giudici amministrativi — sarà il nuovo Consiglio superiore della magistratura che uscirà dalle elezioni dei 16 componenti togati previste per il 6 e 7 luglio e degli 8 componenti «laici» da nominare in Parlamento. Le previsioni per i posti assegnati a giudici e pubblici ministeri riferiscono che la corrente «centrista» di Unità per la costituzione e la «sinistra» rappresentata da Area potrebbero avere rispettivamente 7 e 6 seggi, e 3 dovrebbero andare alla «destra» di Magistratura indipendente. Ma uno o due seggi restano in bilico, e potrebbero passare da un gruppo all’altro, tenendo conto che sono in corsa anche i cosiddetti indipendenti. In ogni caso Unicost e Area dovrebbero mantenere saldamente, come ora, la maggioranza. Tra i «laici» invece, secondo consolidate prassi mai smentite,cinque componenti dovrebbero andare alla coalizione di governo (verosimilmente 4 scelti dal Partito democratico e uno dal Ncd di Alfano) e tre all’opposizione (di certo uno a Forza Italia e uno al Movimento 5 Stelle, l’altro da assegnare).
Nomi ne circolano pochi, c’è molta incertezza. È però pressoché sicuro che tra i quattro «laici» indicati dal Pd — sui quali il premier-segretario Matteo Renzi avrà l’ultima parola — ci sarà il vice-presidente chiamato a guidare la consiliatura in raccordo col capo dello Stato. Sarà insomma un Csm di marca renziana. Che forse non a caso dovrà procedere a una rivoluzione inevitabilmente associata alla «rottamazione» tanto cara al giovane capo del governo.