Il cittadino rumeno è però soggetto in Italia anche a un altro procedimento penale, nell’ambito del quale ha già ricevuto una condanna in primo grado da parte del gip di Ragusa a un anno e sei mesi per il reato di illecita detenzione di arma da sparo clandestina. Tra i motivi di impugnazione fatti valere dalla difesa, trovava posto anche il fatto che la consegna alla magistratura rumena avrebbe determinato, tra l’altro, una situazione in cui sarebbe stato compromesso il diritto di difesa nell’ambito del processo d’appello da celebrare in Italia.
La Cassazione non è stata però di questo avviso e ha chiarito che non si prospetta alcuna lesione del diritto di difesa, dal momento che, soprattutto per effetto della legge 67/2014, l’istituto della contumacia ha ricevuto una «sostanziale espunzione dall’ordinamento processuale penale», con la previsione della possibilità di procedere al giudizio penale in assenza dell’imputato solo entro determinati e assai rigorosi limiti. E allora, fatta salva l’eventualità che il cittadino rumeno, a conoscenza del processo italiano che lo riguarda, rinunci espressamente ad assistere al giudizio di appello, la sua detenzione in Romania rappresenta senza dubbio una causa di legittimo impedimento a comparire da parte dell’imputato. Con la conseguenza che il giudizio di appello pendente a suo carico non potrà essere celebrato in sua assenza e dovrà essere sospeso sulla base del nuovo articolo 420 quater del Codice di procedura penale. Sospensione che sarà esecutiva per tutta la durata della detenzione dell’interessato.
La Cassazione chiarisce anche che fare valere i precedenti giudiziari italiani per accreditare la residenzialità (ostacolo previsto dalla legge alla consegna) è controproducente: i trascorsi penali, infatti, contraddicono alla radice le finalità di recupero sociale che stanno alla base dell’ostacolo di legge alla consegna.