Mentre dai dati di Bankitalia emerge che le banche stanno riaprendo sempre di più i rubinetti del credito a imprese e famiglie, il settore si interroga sulle modalità che potrà assumere la possibile stretta del governo sui finanziamenti a garanzia pubblica.
Al centro della questione c’è il Fondo di garanzia per le Pmi, nato all’inizio del nuovo Millennio ma la cui operatività era stata fortemente intensificata in pandemia. La Legge di bilancio di un anno fa ne aveva prorogato la disciplina transitoria fino alla fine del 2025 e di recente il sottosegretario al Mimit, Massimo Bitonci, aveva aperto a un’analoga mossa quest’anno, magari in manovra. A oggi, però, tutto tace. In assenza di una nuova proroga, il Fondo
riprenderebbe a operare così com’era prima del Covid, il che significa che l’importo massimo garantito per singola impresa passerebbe da 5 a 2,5 milioni. Il sostegno potrebbe poi tornare a essere indirizzato verso le aziende a rating più basso, quindi più bisognose. Ciò, a ben vedere, farebbe il paio con quanto di recente affermato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: «Lo Stato, attraverso le garanzie, può e deve essere un motore per il credito
soprattutto laddove il mercato da solo non vi riesce in modo efficiente».
Secondo il presidente di Banca Aidexa Roberto Nicastro, un’area a fallimento di mercato è quella dei finanziamenti di medio-lungo termine (oltre i tre-cinque anni) alle piccole e microimprese. Nei giorni scorsi, lo stesso presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, aveva dichiarato che le banche sono «pronte a uscire dalla fase emergenziale» delle garanzie pubbliche, a patto che «si apra un tavolo con tutti gli attori coinvolti». Secondo i dati forniti in audizione in Senato sulla Legge di bilancio dal numero uno di Mcc, Francesco Minotti, oggi sono ancora in piedi quasi un milione e mezzo di operazioni risalenti alla fase Covid, per un ammontare residuo finanziato di 61 miliardi, 52 dei quali garantiti.
Ieri, intanto, Bankitalia ha fatto sapere che a settembre i prestiti degli istituti italiani al settore privato sono aumentati dell’1,6% annuo. Quelli alle famiglie sono cresciuti del 2,2% e dell’1,2% quelli alle società non finanziarie