11.02.2013

Fs-Alitalia Nessuno ne parla Ma il progetto prende quota

  • Il Corriere della Sera

E come lo chiameremo se mai partirà: l’aerotreno, il ferroplano? Oltre al Ponte di Messina a una sola campata su oltre tre chilometri di mare, potremmo davvero avere in Italia un altro unicum mondiale: la società fra le ferrovie e gli aerei.
Prende quota il piano di un polo fra Ferrovie dello Stato e Alitalia, con le prime che in sostanza ingloberebbero, magari attraverso una controllata, la seconda per ottenere sinergie, in particolare sulla rotta Milano-Roma fagocitata dall’Alta velocità con il Frecciarossa e Italo e ormai coperta dal treno per il 58% (era il 36% nel 2008 — il resto è per il 32% dell’aereo e per il 10% della gomma, dati Fs). L’obiettivo è razionalizzare dove c’è sovrapposizione, con economie di scala su destinazioni e uffici. L’idea piace a Mauro Moretti, amministratore delegato Fs, e del progetto si è già parlato, ma pareva un’eccentricità. Ora è un piano concreto, per il quale è stato trovato l’advisor e sul quale sta ragionando, seppure in via informale, l’Antitrust.
Secondo fonti accreditate, l’advisor è il Boston Consulting Group, lo stesso che per il governo Monti ha elaborato il piano strategico per il turismo che coinvolge la Cassa depositi e prestiti. È nelle stanze milanesi della società di consulenza che si sta silenziosamente lavorando da pochi giorni per rendere concreto e fattibile il progetto Fs-Alitalia. Quanto all’Autorità per la concorrenza presieduta da Giovanni Pitruzzella, «Non c’è al momento alcun fascicolo al vaglio», puntualizza, ma sta ufficiosamente considerando una tale aggregazione che può portare a una maggiore posizione di monopolio di Ferrovie.
L’idea della «newco»
Il piano è coperto da riserbo, in particolare sull’architettura societaria, e certo avrà bisogno del viatico politico post elettorale: primi passi, dunque. Secondo osservatori, comunque, essendo Ferrovie una spa, benché pubblica, potrebbe acquisire anche direttamente quote di Alitalia, magari alla scadenza naturale di ottobre, quando i soci — compresi Air France e il presidente Roberto Colaninno con la sua Piaggio — saranno liberi di vendere senza l’ok del Consiglio d’amministrazione.
Una strada possibile è che il gruppo guidato da Moretti costituisca una newco, una nuova società, con la quale poi rilevare Alitalia, in tutto o in parte (e a costo zero), aprendo il capitale anche ad altri partner. Fra le ipotesi, non confermata, c’è quella di fare confluire i debiti in una bad company: e sarebbe la seconda «scatola nera» pubblica, dopo il salvataggio di Alitalia con il governo Berlusconi nel 2008. Resterebbe escluso, almeno in una prima fase, un intervento diretto della Cassa depositi e prestiti. «Si chiama integrazione verticale d’impresa dominante, la stessa di Microsoft che fu bocciata dall’Antitrust europeo di Mario Monti — dice Marco Ponti, docente di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano —. L’Antitrust italiano non dovrebbe farla passare. È un cartello che non porta vantaggi ai consumatori, un modo mascherato per rimettere sulle spalle del pubblico il salvataggio dell’Alitalia».
Il crollo Milano-Roma
Con 1,24 milioni di passeggeri nel 2012 (278 mila viaggiatori persi in due anni), la rotta Linate-Fiumicino copre ormai soltanto il 3% dei ricavi di Alitalia, dichiara la compagnia, ed è in erosione di redditività. La situazione è destinata a peggiorare ora che sta arrivando EasyJet, a cui l’Antitrust ha assegnato su quella stessa rotta otto slot (quattro andate e ritorno), rompendo il monopolio. La compagnia low cost di Carolyn McCall annuncerà oggi date e dettagli, ma di certo ambisce alla clientela d’affari che di Alitalia è il fulcro. «Vedremo se i passeggeri preferiranno il nostro servizio all’approccio spartano degli ultimi arrivati», attacca Gianni Pieraccioni, chief commercial officer di Alitalia. E però l’ex compagnia di bandiera incide ormai solo per il 45% sul traffico domestico di Aeroporti di Roma (50% due anni fa). E sulle rotte nei Paesi ad alto sviluppo, dove potrebbe fare da volano all’economia italiana, è ferma rispetto ai rivali europei.
Destinazioni mancate
Nei 50 Paesi extraeuropei con maggiore crescita del Pil fra il 2007 e il 2011, dice infatti uno studio dell’Università Bocconi per il Corriere Economia sul presidio territoriale allo sviluppo (vedi tabella), la dimagrita Alitalia contava al 6 febbraio soltanto 19 destinazioni dirette, contro le 64 di Lufthansa, le 56 di British Airways, le 43 di Air France. In Cina Alitalia ha un solo scalo, i tedeschi quattro, inglesi e francesi tre. In Arabia Saudita ne ha zero, idem in India dove British Airways e Lufthansa ne contano cinque e Air France tre. E negli Usa è rimasta con tre rotte, contro le 19 di Lufthansa, le 16 di British Airways, le otto di Air France.
«Il confronto non è coerente viste le consistenze diverse delle flotte», dice Alitalia, che ha un quinto degli aerei di Air France (142 di cui 22 a lungo raggio, contro 593 di cui 172 a lungo raggio) e sarebbe ben felice di riempire i vettori su quelle rotte (aumenterà, dice, i voli su Russia e Brasile in estate).
«Ma Lufthansa ha avuto coraggio ad aprire cinque scali sull’India, bisogna prendersi del rischio industriale — commenta Stefano Caselli, prorettore agli affari internazionali della Bocconi, che ha curato l’indagine —. Alitalia dovrebbe seguire la strada di Unicredit e Intesa: investire sull’estero. Chiunque sia il futuro proprietario non potrà ragionare sul mercato nazionale». Ed è questo il possibile limite del polo treno-aereo. «Se disegnata in modo razionale, fatto salvo il parere dell’Antitrust, l’aggregazione Fs-Alitalia può anche funzionare, per esempio presidiando i voli sul Sud Italia dove il treno non c’è più — dice Caselli —. Ma è essenziale per lo sviluppo del Paese un accordo societario con compagnie straniere, come Etihad o Emirates». Resta inteso che la vera incognita è cosa farà il socio straniero attuale, Air France, che nel progetto Fs potrebbe anche essere pagata con gli slot. Si vedrà con le elezioni chi perderà il treno.