21.06.2017

Il food verso i 50 miliardi di export

  • Il Sole 24 Ore

Nei prossimi 3-5 anni l’agroalimentare italiano potrà doppiare la boa dei 50 miliardi di export se continuerà a puntare sulla qualità, sfruttare i trend salutisti nei paesi avanzati e servirsi delle piattaforme di e-commerce: la previsione di Boston consulting group è emersa nel corso del 5° Forum Food & made in Italy del Sole 24 Ore svoltosi ieri nella sede milanese. «Non ho dubbi che raggiungeremo l’obiettivo – ha detto il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia – specie alla luce del trend dei primi mesi del 2017 con un export che vola di 7,7 miliardi nel primo trimestre. Inoltre dal 2000 l’export ha marciato con un tasso medio annuo del 5,7%».
Il dato è molto positivo ma «c’è ancora molto da fare – ha aggiunto Scordamaglia -. Basti pensare che un’impresa alimentare italiana mediamente fattura 2,3 milioni contro i 6,5 di una omologa tedesca. Le dimensioni di fatturato di per sé non sono un limite, lo sono invece l’organizzazione e i livelli di managerializzazione, spesso inadeguati. Una strada per crescere è anche quella di cercare sinergie con aziende più grandi nell’utilizzo di piattaforme distributive e aprendo a capitali terzi di medio periodo».
Per l’accesso al trade internazionale, ha sostenuto il dg di Bcg Alberto Zunino, «è importante un lavoro comune in una logica di sistema: in questo modo si rafforzano tutti gli attori della filiera».
Il governo il suo mestiere lo fa: ha stanziato 120 milioni nel biennio 2016/17 per il piano made in Italy. L’anno scorso il Mise e l’Ice hanno finanziato l’ingresso di 1.500 imprese sugli scaffali dei retailer Usa, di cui 370 per la prima volta. Quest’anno il progetto si allarga al Far east, in particolare a distributori di Giappone, Hong Kong e Corea e con l’e-commerce in Cina. Inoltre lo scorso maggio Ice ha siglato una partnership con il colosso Usa Walmart per la distribuzione di 3.600 prodotti. L’accordo prevede anche l’utilizzo del logo Extraordinary Italian Taste su tutto il materiale promozionale e di marketing: insegne, etichette, brochure, pubblicità online.
L’unico rammarico è che in tutte le promozioni di sistema verrà a mancare il supporto del logo unico del made in Italy, su cui il ministro Calenda ha lungamente lavorato con le filiere, ma, pare, senza ottenerne l’assenso finale. Scordamaglia ha aggiunto che gli investimenti del governo dovrebbero «diventare strutturali, perché nessun settore come quello alimentare ha lo stesso moltiplicatore economico e sociale. Ciò detto il destino delle nostre imprese è nelle loro mani».
E a questo proposito un esempio virtuoso è Granarolo. «Nel mondo tutti vorrebbero consumare prodotti italiani – ha esordito il presidente Gianpiero Calzolari -, ma non basta piacere per avere successo. Bisogna risolvere il problema organizzativo». Granarolo (anche per bilanciare il forte calo di latte e derivati in Italia) ha realizzato una raffica di acquisizioni, di medio-piccola taglia, di produttori Dop in Italia e di distributori nel mondo. «Abbiamo rilevato i distributori nei mercati difficili – ha sottolineato Calzolari – scegliendo nostri rappresentanti locali anzichè delegare agli importatori». Recentemente è stata costituita Granarolo Usa, ora legata all’export di snack di successo ma che può essere sia il veicolo per un’acquisizione che consenta di produrre sul posto sia per importare prodotti Dop. Avrete bisogno del supporto pubblico per l’acquisizione? «Certamente sì» ha risposto, a margine del convegno, Calzolari.
Infine, a proposito del buco da 100 milioni di Coop Sicilia e dei 273 esuberi, per Adriano Turrini, presidente di Coop Alleanza 3.0, «il confronto con i sindacati è appena partito. Il nostro è un piano di razionalizzazione e rilancio: prima di chiudere un negozio si può vendere o trasformare. Comunque per rimanere in Sicilia, come abbiamo deciso, si deve raggiungere almeno un equilibrio di cassa». Mentre sull’arbitrato da 58 milioni in corso con il gruppo Tuo/Dico avviato presso la Cdc di Milano, Turrini preferisce tacere. Il contenzioso sarebbe originato dallo scambio della catena Dico di Coop con negozi del gruppo Tuo. Coop avrebbe, per questa transazione, affrontato un contenzioso tributario pagando 9 milioni di euro.