Con il provvedimento del giudice, che ha accolto l’istanza del pm, cade così l’accusa di ostacolo alla vigilanza della Consob in relazione ad una presunta “trattativa” tra Mediobanca e la famiglia Ligresti per far ottenere benefici economici, quantificabili in 45 milioni di euro di benefit, al costruttore siciliano e ai suoi tre figli, Paolo, Jonella e Giulia, in cambio della loro “uscita” dalla gestione del gruppo Premafin-Fonsai, quest’ultimo destinato a finire sotto il cappello di Unipol. Una trattativa che, come risultava dall’avviso di conclusione indagini, si sarebbe conclusa con un “accordo” che venne “tenuto nascosto”, custodito in una cassaforte, all’organismo di vigilanza del mercato, la Consob. Il cosiddetto «papello» sarebbe stato consegnato all’avvocato Cristina Rossello, segretario del patto di sindacato di Mediobanca.
Il caso del «papello» è stato sollevato dalla Procura di Milano tre anni fa, nel luglio del 2012, nell’ambito della più ampia inchiesta del pm Orsi sul gruppo assicurativo dell’immobiliarista di Paternò. Nel corso di un interrogatorio, Salvatore Ligresti ai magistrati aveva detto di aver firmato un accordo con Nagel, nel quale si indicavano le condizioni per l’uscita della famiglia da Premafin, la holding di controllo di Fonsai e permettere così la fusione con Unipol. Il papello risaliva a un incontro dell’ingegnere di Paternò e della figlia Jonella con Nagel e prevedeva il riconoscimento alla famiglia anche di una serie di incarichi per i figli e utilità varie, tra cui la possibilità di usufruire del Tanka Village in Sardegna, ufficio, segretaria e autista per Salvatore Ligresti. Come riportano le cronache di tre anni fa, interrogato dal pm Luigi Orsi il primo agosto 2012, Nagel aveva indicato che si trattava di una lista di «desiderata» della famiglia Ligresti, siglata solo per presa di conoscenza, con la precisazione che si trattava di “richieste in parte note”, comunque “non destinate a Mediobanca” e non nella sua disponibilità.
Da Mediobanca, inoltre, avevano fatto presente che il papello non riguardava l’istituto, non era un accordo e l’ad lo siglò come presa d’atto per poter andare avanti nell’operazione. Operazione peraltro che ha creato il secondo gruppo assicurativo italiano con il titolo Unipol che, dall’assemblea che ha varato la fusione con il gruppo FonSai (ottobre del 2013) si è apprezzato del 37% e ha garantito un rendimento totale del 59 per cento.
Non solo. Da piazzetta Cuccia, nel corso dell’inchiesta, hanno fatto sempre presente che né Nagel né la banca potevano impegnarsi a fornire quanto scritto nel “patto” segreto perché non erano asset a disposizione di Mediobanca, ma di Unicredit o di Unipol. Peraltro tutte le richieste contenute nel papello non solo non erano attuali, avevano chiarito ancore da Mediobanca, ma non hanno nemmeno avuto seguito. E questa è stata la linea più volte ribadita dalla difesa del ceo.
Il pm, nel chiedere l’archiviazione dell’accusa contestata, ha ricostruito, in ogni caso, la vicenda e il ruolo dei ‘protagonisti’, non ravvisando tuttavia elementi per chiedere il processo.