Fiat continuerà a investire e a credere nell’Italia, non chiuderà nessuno stabilimento. E tra 3-4 anni arriverà alla piena occupazione dei propri lavoratori. Ma la fase di emergenza in cui viviamo richiede interventi rapidi e incisivi, sostiene Sergio Marchionne nel suo discorso all’assemblea di Confindustria Firenze. E invoca «uno scatto di orgoglio, uno sforzo collettivo, una specie di patto sociale. Un piano di coesione nazionale per la ripresa economica, chiamatelo piano Marshall per l’Italia o come volete», dice amministratore delegato di Fiat Chrysler, ricordando l’enorme sforzo finanziato dagli Stati Uniti per far ripartire l’Europa alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
L’intervento al Teatro comunale, dove è arrivato in auto insieme al presidente di Mps Alessandro Profumo, però serve a Marchionne anche per far pace con la città e il suo sindaco, dopo le «parole sconsiderate» dello scorso ottobre. «Firenze città piccola e povera», aveva detto l’ad a Bruxelles, scatenando un vespaio di polemiche. Un errore di un giornalista, corregge: a pronunciare la frase per descrivere Firenze non era stato lui, bensì un altro dei presenti al pranzo privato, parole mal tradotte e addossate a lui. Insomma una «bella bischerata», dice adesso Marchionne, che fu poi costretto a comprare una pagina sul quotidiano La Nazione per spiegarsi.
Chiusa la questione, il manager può passare agli «argomenti seri». Comincia dalla Fiat, che «oggi non è più quella che molti italiani ricordano. La realtà del 2004 non esiste più». Il fatturato è salito da 27 a 84 miliardi. L’Europa pesa poco più del 20% rispetto al 92% di 8 anni fa, anche grazie alla «straordinaria avventura con Chrysler, per la quale Marchionne sta stringendo i tempi: forse già entro il 21 giugno Fiat dovrebbe raggiungere un accordo con 9 banche per rifinanziare 1,95 miliardi di euro e prepararsi ad acquistare la casa americana, scrive Bloomberg . «Dalle potenziali ceneri di un costruttore italiano abbiamo creato un gruppo automobilistico con un orizzonte globale. Ma nonostante questo, Fiat è considerata ancora da molti nel nostro Paese un’azienda che si trascina dietro tutti i pregiudizi di venti o più anni fa». Sono «pregiudizi sulla qualità dei prodotti, sull’ingerenza in politica e quello di vivere alle spalle dello Stato con aiuti pubblici», dice Marchionne. La sua verità? Investimenti per 23,5 miliardi contro agevolazioni pubbliche pari a circa 742 milioni. «Significa che abbiamo creato lavoro e benessere, e che continuiamo a investire e a credere nell’Italia». Semmai è l’Italia a non credere nel gruppo torinese. «Non siamo riusciti a convincere neppure il primo cittadino di Firenze, che preferisce guidare un’auto straniera», scherza Marchionne. E a margine dell’evento, a chi gli ha chiesto dei contenuti di un suo colloquio con Renzi, Marchionne ha risposto: «Ho cercato di vendergli una macchina».
La prova suprema del cambiamento: «Se oggi ci fosse ancora la Fiat di una volta avremmo già portato i libri in tribunale da un pezzo».
Poi tocca all’Italia. «Dare lavoro alla gente deve diventare l’unico obiettivo pr chiunque abbia davvero a cuore le sorti di questo Paese», sostiene. «L’obbligo di tirare fuori il Paese dala recessione e dalla disoccupazione è un nostro obbligo è un nostro dovere, che ci deve vedere tutti alleati». Serve una «agenda di riforme per modernizzare» il nostro Paese. E occorre metterla in pratica. Bisogna rafforzare l’Unione europea, con un governo dell’economia. Ma «ognuno può fare la sua parte». Per Fiat: «La scelta più razionale sarebbe quella ci chiudere uno o due stabilimenti in Italia», anche «per far fronte alla sovraccapacità produttiva dice Marchionne. Abbiamo invece detto e lo ribadisco che non chiuderemo nessuno stabilimento in Italia». La strategia prevede «già nei prossimi 24 mesi un significativo aumento dell’attività produttiva, fino a d arrivare nel giro di 3-4 anni a un pieno impiego di tutti nostri lavoratori».
Ieri intanto Moody’s ha confermato il rating B1 di Fiat Chrysler, con outlook stabile.