Sono del resto proprio gli Stati Uniti a catalizzare l’attenzione. E non solo per le rinnovate voci su Ferrari, con l’agenzia Bloomberg che rilanciava l’ipotesi — datata fine novembre — di trasloco delle sedi secondo lo schema sperimentato dalla casa madre: per la base legale rotta su Amsterdam, dove il particolare meccanismo di «azioni fedeltà» consentirebbe a Exor di blindare il controllo dopo lo scorporo da Fca; direzione Londra per la residenza fiscale (che però ha maggiori chance di rimanere italiana).
Tutto questo è sul tavolo, certo. Ma fa parte, al momento, di quelle che John Elkann ha definito «tante, diverse ipotesi» su cui c’è ancora un po’ di tempo per valutare e decidere (lo spin off di Ferrari e il suo approdo a Wall Street andranno in scena tra aprile e settembre 2015).
È la parte conclusiva dell’«operazione Usa», che è invece già ai nastri di partenza. Il road show di Sergio Marchionne tra gli investitori americani è terminato. A New York, con le banche d’affari scelte da Fca, ha finito anche di mettere a punto i dettagli-chiave delle emissioni da cui conta di incassare «almeno» tre miliardi di euro: da un lato il collocamento negli States di 100 milioni di azioni, che dovrebbero allargare e consolidare la presenza del titolo sul New York Stock Exchange; dall’altro il prestito convertendo con scadenza nel 2016 per un totale di 2,875 miliardi di dollari (di questi, 600 milioni sono riservati alla controllante Exor e altri 375 agli istituti che accompagnano i due collocamenti).
L’attesa degli operatori, ieri, era dunque tutta per i pricing e, ovviamente, per il tasso del bond (visto al 7,125-7,875%). È aspettando la chiusura di Wall Street, con una possibile coda nella notte italiana, che gli operatori si sono posizionati. Al ribasso. Ma scommettendo sul successo di una doppia operazione che tra l’altro, a chi sottoscrive, «regala» il diritto a titoli Ferrari.