I grandi movimenti si giocano del resto tutti tra la diffusione dei dati e l’avvio della conference call con Marchionne. È quello lo spazio (breve) che separa dalla completa valutazione dei numeri 2014: il fatturato che sale più del previsto, a 96,1 miliardi (+11%), e promette di arrivare a 108 miliardi quest’anno; i 4,6 milioni di auto consegnate, con un target 2015 tra i 4,8 e i 5 e con la Jeep da sola già oltre il milione; l’effetto delle operazioni sul capitale, che fermano l’indebitamento a 7,7 miliardi contro una liquidità di 26,2; l’utile operativo che sale del 7% a 3,223 miliardi.
Certo, nemmeno quest’anno ci sarà dividendo. Ma i mercati se l’aspettavano e, d’altra parte, la priorità ora non è la remunerazione dei soci: è «rafforzare ulteriormente — decide il board — i mezzi a supporto del piano quinquennale».
Un piano che marcia, e Marchionne può togliersi qualche soddisfazione. «La macchina funziona, continua a fare progressi, dimostra la bontà del viaggio avviato nel 2007». Quando, ricorda, «eravamo circondati dallo scetticismo». Adesso? Adesso Fca è in utile anche nella problematica Europa e, se i 28 milioni dell’ultimo trimestre 2014 sono ancora solo un segnale, «non stappo champagne: ma persino io, così diffidente sul mercato Emea, sto diventando positivo sulla sua redditività». Quella stessa per cui fa i complimenti ad Alfredo Altavilla, il gran capo dell’area, e che rafforza le prospettive degli investimenti in Italia: in attesa (presto) di Cassino e Mirafiori, Marchionne ribadisce che «sì, Melfi tornerà alla piena occupazione entro il terzo trimestre». È la fase clou del piano, la parte industriale (che non riguarda solo noi: a marzo Fca inaugurerà la fabbrica brasiliana di Pernambuco). Quella finanziaria, però, non è finita. Questo sarà l’anno della Ferrari a Wall Street. «Confermo: puntiamo a chiudere tutto — collocamento del 10% e scorporo del restante 80% — entro il 2015. Se non ce la faremo sarà solo per ragioni regolatorie».