Ne è inevitabilmente seguita la più classica delle guerre azionarie. Ma se Exor pare avvantaggiata, grazie anche alla mossa che l’ha già trasformata nel primo socio della compagnia, nessuno può considerare chiusi i giochi. Non lo fa, infatti, Elkann. Guardando a una data-chiave: 24 luglio, quando l’assemblea voterà il merger con Axis. Se vincerà il sì, gli italiani dovranno lasciare le loro ambizioni. Se vincerà il no, ad andare a casa sarà il board e le porte di PartnerRe si apriranno al controllo di Torino. Perciò l’incontro organizzato ieri da Elkann, e gli ultimi miglioramenti proposti («Exor addolcisce l’offerta ostile», titolava il Financial Times online), può rivelarsi decisivo. Perché, davanti, il presidente del Lingotto aveva gli investitori che sceglieranno tra il progetto dell’aspirante azionista al 100% e i piani del vecchio management.
In contemporanea, in Italia, più che a Exor si guardava a Fca. In parte per l’ennesima conferma delle «intenzioni di fusione» del gruppo guidato da Sergio Marchionne: vicina o no, con Gm o con qualcun altro, la Borsa apprezza e, prima che la Grecia tornasse a gelare i listini e costasse anche a Fiat Chrysler il 2%, il titolo viaggiava verso le migliori performance di tutta Piazza Affari.
Qui siamo però ancora in terreno finanziario. Mentre è sindacale, la novità più concreta. I lavoratori dell’auto Fiat Chrysler avevano già firmato, e lo applicano da due mesi, il contratto collettivo di gruppo per il 2015-2018. Ieri si sono aggiunte il resto di Fca e l’intera Cnh. Ovviamente, alle identiche condizioni: stessi aumenti retributivi collegati a obiettivi di efficienza e redditività; stessa possibilità di estendere il «modello Melfi» di produzione a ciclo continuo, ossia su venti turni settimanali. Stessi schieramenti sindacali, anche: con la Fiom sempre autoesclusa dal tavolo cui siedono Fim, Uilm, Fismic, Ugl, Quadri.