Quanto fa male all’Italia importare merce contraffatta? Il conto è servito: 88mila posti di lavoro (a tempo indeterminato) in meno e oltre 10 miliardi di gettito fiscale che mancano all’appello e con i quali ci si potrebbero comodamente finanziare sia il reddito di cittadinanza che Quota 100. Contemporaneamente. Il commercio mondiale rallenta, crescono i dazi e le tensioni sui mercati, ma il mercato della contraffazione e della pirateria galoppa e si mangia l’equivalente del Pil dell’Austria.
Presentata ieri mattina la nuova mappatura dei falsi, prodotta dall’Ocse e da Euipo (l’Ufficio Ue per la Proprietà intelletuale) che stima gli effetti economici della contraffazione e della pirateria sugli scambi internazionali incorciando i dati forniti dall’Organizzazione mondiale delle dogane, dalla Dg Fiscalità della Commissione europea e dalle Autotrità doganali Usa. Una fotografia che conferma che se i Paesi che più brevettano sono anche i più colpiti dal fenomeno dei falsi, tra alcuni emergenti si concentrano sia la maggiore produzione di fake sia le pricipali centrali di “smistamento logistico” del business.
I numeri del fenomeno
Il report Ocse-Euipo stima in 460 miliardi di euro il commercio internazionale di merci contraffatte. Era di 338 miliardi di euro nell’analoga indagine 2016. La quota di mecato, rispetto a quello legale, è dunque aumentata dal 2,5% delle stime pubblicate nel 2016 al 3,3% di oggi.
Confini colabrodo soprattutto nella Ue. Sono contraffatti fino a 121 miliardi di euro di importazioni (un dato che quindi non tiene conto,ad esempi, della contraffazione prodotta e venduta all’interno della stessa Ue. In pratica, il 6,8% delle merci che attraversa le dogane Ue è fatto di falsi (nel 2016 era il 5 per cento). Nel mirino, per lo più, beni di lusso e largo consumo: calzature, abbigliamento, pelletteria, apparecchi elettronici. Comparti in cui l’Italia ha posizioni di leadership. E infatti, assieme a Usa, Francia, Svizzera, Germania, Giappone, Corea e Regno Unito, siamo tra i più colpiti.
Rotte complesse
Le merci contraffatte continuano a seguire una serie di complesse rotte, utilizzando punti intermedi di transito e sono in forte aumento le spedizioni di “piccoli pacchi” di prodotti contraffatti, ancora più difficili da intercettare. In 9 delle 10 categorie di merci analizzate, è la Cina il maggiore produttore di falsi. Ma galoppano anche India, Malaysia, Pakistan, Thailandia, Turchia e Vietnam.
Tra gli “hub” logistici delle merci contraffatte giocano un ruolo strategico Hong Kong, Singapore e gli Emirati Arabi Uniti: lì i “falsi” arrivano in container e vengono poi suddivisi in pacchi per essere inoltrati – via posta – verso il loro Paese di destinazione. Molti Paesi mediorientali come l’Arabia Saudita e lo Yemen sono “hub” di smistamento verso l’Africa, mentre Albania, Egitto, Marocco e Ucraina sono importanti centri di redistribuzione dei “fake” verso la Ue.
«L’Italia, con il 15% del valore dei beni sequestrati contraffatti – ha detto Mario Peserico, presidente di Indicam (l’associazione italiana per la tutela della proprietà intellettuale) – èil terzo Paese più colpito. È grave che il fenomeno aumenti anche nella Ue. Ogni accordo di libero scambio con i Paesi produttori di fake dovrebbe avere come primo punto un impegno concreto contro la contraffazione».
«L’aumento della quota di merci contraffatte nella Ue – ha detto il direttore esecutivo dell’Euipo, Christian Archambeau – è preoccupante e richiede un’azione coordinata». Peccato che anche nella Ue, tra Paesi produttori e importatori ci sia una drammatica contrapposizione di interessi e le stesse Autorità doganali dei Ventotto utilizzino strumenti e margini di azione discrezionale molto diversi.
Laura Cavestri