11.04.2016

Fallimento possibile per le «in house»

  • Il Sole 24 Ore

La Corte d’appello di Napoli «anticipa» l’attuazione della riforma Madia sulle partecipate
Le disposizioni contenute nel Codice civile e nella legge fallimentare valgono per tutte le società, anche per quelle in house che possono quindi fallire. La Corte d’appello di Napoli (presidente Cultrera, relatore Pepe) con la sentenza 214 del 27 ottobre 2015 ha ritenuto insussistenti i presupposti per procedere ad una riqualificazione come ente pubblico delle società in house, ossia delle società sotto il totale controllo di enti pubblici.
Chiamata a decidere sul reclamo proposto contro una sentenza dichiarativa di fallimento di una società in house, la Corte napoletana sostiene inoltre che questa interpretazione è già confermata dalle nuove norme introdotte dalla legge delega di riorganizzazione della Pa (legge 124/2015, articoli 16-19).
Gli orientamenti dei giudici
Sulla possibilità per la società in house di accedere al concordato preventivo, all’accordo di ristrutturazione dei debiti e di essere assoggettata a fallimento, la giurisprudenza non è univoca. Esistono due orientamenti opposti, che fanno entrambi riferimento alle posizioni (anch’esse discordanti) assunte nel tempo dalla Cassazione.
Da una parte, sulla scorta della pronuncia 26283/2013 delle Sezioni unite della Suprema corte, alcuni tribunali sostengono che non vi è distinzione tra ente pubblico e società e che, dunque, anche quest’ultima riveste le caratteristiche dell’ente pubblico: pertanto, non può fallire (Tribunale di Palermo, 8/1/2013 e Tribunale di Palermo 18/1/2013, Tribunale di Napoli 9/1/2014, Tribunale di Verona 19/12/2013, Corte d’appello dell’Aquila del 3/3/2015).
Dall’altra parte, i tribunali fautori della fallibilità delle società in house si richiamano, ad un’altra pronuncia della Cassazione (la 22209/2013) in cui la suprema Corte sosteneva che «in tema di società partecipate dagli enti locali, la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza».
La Corte d’appello di Napoli, nella sentenza 214/2015, esamina i due diversi orientamenti e si sofferma in particolar modo sulla pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione.
Secondo i giudici partenopei, rifarsi a questa pronuncia per sostenere la non fallibilità delle società in house non è corretto, in quanto la sentenza 26283/2013 riguarda la giurisdizione della Corte dei conti sull’azione di responsabilità erariale nei confronti degli amministratori delle società in house. Una questione che i giudici partenopei, ritengono di carattere settoriale.
Ma la Corte d’appello di Napoli, fa soprattutto notare che l’orientamento della Cassazione non è sistematicamente incompatibile con l’applicazione delle norme fallimentari alle società in house, in quanto le condotte dei soggetti possono essere plurioffensive, cioè allo stesso tempo lesive del patrimonio pubblico e, pregiudizievoli per i creditori o i terzi.
La riforma Madia
La Corte d’appello di Napoli sottolinea inoltre che a favore dell’applicabilità delle disposizioni fallimentari alle in house (e quindi della loro fallibilità) ci sono anche le disposizioni contenute nella legge delega sulla riorganizzazione della Pa, anche se resta ferma la necessità di indicazioni legislative specifiche, in arrivo con i decreti ora in fase di approvazione (si veda anche la pagina seguente).
«Gli articoli 16-19 della legge 124/2015 – si legge nella sentenza – costituiscono conferma sia dell’inesistenza allo stato di indici normativi che consentano di qualificare la società in house come enti pubblici sia della necessità di dirimere le criticità sorte in relazione a tali società con un apposito intervento normativo».
Il fulcro della questione è quello di verificare se al momento della dichiarazione di fallimento la società ricorrente poteva essere qualificata come società in house e in caso positivo se tale qualificazione precludeva la possibilità di dichiarare il fallimento.
Per i giudici napoletani a una società in house possono essere applicate le disposizioni derogatorie previste per gli enti pubblici solo se è possibile escludere che tali società esercitino un’attività commerciale. E visto che, nel caso sotto esame, dalla verifica era emerso che la società in questione svolgeva attività commerciale, la Corte d’appello ha respinto il reclamo.
Nel 2014 anche il Tribunale di Reggio Emilia, con la sentenza del 18 dicembre n. 150 (presidente Savastano, relatore Fanticini) aveva dichiarato il fallimento di una società in house in quanto non esercitava un servizio pubblico essenziale di esclusiva competenza pubblicistica.
Il quel caso il collegio sostenne che la società agiva sul mercato con finalità di lucro e si atteggiava – nei rapporti coi terzi – come un soggetto privato.

Giuseppe Acciaro
Roberta Campesi
Gianclaudio Fischetti