Tuttavia la questione concreta è stata posta per un aggio piuttosto basso, poche centinaia di euro su una somma riscossa contenuta, e dunque la decisione della Corte non sarebbe stata rilevante per la causa da cui era scaturita l’eccezione di incostituzionalità della norma. In sostanza il ricorrente aveva posto un problema puramente teorico di cifre troppo alte, su recuperi di grossa entità che non lo riguardavano: di qui l’inammissibilità della questione che, per come la vicenda era stata prospettata da Equitalia, evita un aggravio di spesa che difficilmente sarebbe stato sopportabile dall’Erario, già alle prese con i rimborsi provocati dalla bocciatura del blocco degli aumenti delle pensioni.
Quella sentenza ha provocato tensioni tra la Consulta e il governo che ancora non sembrano superate, soprattutto dopo lo «scambio di opinioni» tra il ministro dell’Economia e il presidente della Corte Alessandro Criscuolo, sulla necessità di tenere conto dei riflessi economici delle loro decisioni da parte dei giudici costituzionali. Il timore della politica, oltre che di Equitalia, era che anche stavolta la Corte procedesse solo sul piano del diritto, senza considerare le ricadute per i conti statali. È avvenuto qualcosa di diverso: i giudici non hanno affrontato il merito della causa, considerandola inammissibile. E, almeno per il momento, non hanno dato il via libera a futuri nuovi rimborsi, con conseguenti buchi di bilancio.
A differenza di quel che si immaginava, dalla Consulta non sono arrivati comunicati con l’anticipazione del verdetto — varato da 11 componenti su 15, perché due posti sono vacanti, uno non partecipa più alle camere di consiglio poiché scadrà tra poco più di un mese e il presidente Criscuolo era assente — come avviene per le questioni più rilevanti. Forse per evitare di dare l’immagine, dopo le recenti polemiche, di una Corte che si fosse immediatamente adeguata ai desiderata del governo e alle esigenze della politica.